Guglielmi Tavola Rotonda Endocarditis Team

L’endocardite, la sfida silenziosa

Riccardo Guglielmi intervista il Prof. Sergio Maria Caparrotti

C’è chi la chiama “patologia silenziosa”, chi la considera una minaccia sommersa. L’endocardite batterica, oggi, è tutto fuorché un capitolo chiuso della cardiologia. Ne parlo con Sergio Maria Caparrotti, cardiochirurgo di grande esperienza, Dipartimento Cuore del Mater Dei Hospital e anima del Corso sull’Endocardite che si è appena svolto a Bari, all’Hotel Excelsior. Un medico che non ama i riflettori, ma che da anni lavora per alzare il livello dell’assistenza e della formazione, con la concretezza di chi ha visto e affrontato questa malattia in tutte le sue forme.

Interviste & Opinioni

Sergio, partiamo da qui: perché l’endocardite batterica continua a essere sottovalutata?

Vedi Riccardo, l’endocardite è subdola. Spesso arriva senza clamore, si insinua nei pazienti più fragili, ma anche in quelli che non ti aspetti. Eppure, se guardiamo i dati internazionali, la sua mortalità supera quella della sindrome coronarica acuta. È una patologia che pesa non solo sulle vite, ma anche sulle casse della sanità, specialmente in un periodo così delicato come quello che stiamo vivendo

Eppure, qualcosa sta cambiando. La tecnologia, la formazione, la multidisciplinarietà…

Assolutamente. Oggi abbiamo a disposizione tecniche diagnostiche e terapeutiche molto più raffinate rispetto al passato. Questo ci permette di scegliere il percorso più adatto per ogni paziente, adottando un vero ‘Taylored Approach’. Non si decide più da soli: serve una squadra, l’ENDOCARDITIS TEAM, dove cardiochirurgo, cardiologo, infettivologo e altri specialisti lavorano insieme. Le linee guida ESC/ESCTS lo dicono chiaro e tondo: il team è fondamentale

Nel vostro Dipartimento a Bari avete fatto esperienza di tanti casi diversi. Cosa vi ha insegnato questa casistica?

Ogni caso è una storia a sé, ma tutti ci hanno insegnato una cosa: l’importanza di integrare le esigenze del singolo paziente con le raccomandazioni delle Società Scientifiche. Solo così si può garantire un’assistenza di qualità. E poi, Riccardo, il confronto tra colleghi, il racconto delle esperienze, è quello che ci fa crescere davvero. Nessuno ha la verità in tasca, ma insieme possiamo avvicinarci a quella che serve ai nostri pazienti

Il Corso sull’Endocardite, che dirigi, è ormai un punto di riferimento. Cosa ti aspetti da questa edizione?

Endocarditis team 2

Mi aspetto quello che spero sempre: partecipazione, confronto, voglia di mettersi in discussione. La scorsa edizione ha acceso l’entusiasmo di tanti colleghi. Stavolta abbiamo aggiunto novità, proposte, esperienze nuove. Spero che sia uno stimolo per tutti, perché solo con il dialogo e la condivisione possiamo migliorare la nostra pratica quotidiana. E, in fondo, garantire ai nostri pazienti la massima qualità di cura

Ieri si è svolta una tavola rotonda molto partecipata. Quanto conta oggi il lavoro di squadra nella gestione dell’endocardite?

La tavola rotonda di ieri è stata davvero illuminante. Abbiamo voluto capire insieme qual è il vero valore di un team dedicato: come lavorare meglio, tutelare i pazienti e anche noi stessi, e portare la prevenzione al centro della nostra pratica quotidiana. Il confronto è stato vivace e costruttivo: tutti hanno portato la propria esperienza, dimostrando che solo unendo le forze si possono affrontare le sfide più difficili.

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A proposito complimenti a te e Giandomenico Tarsia per la conduzione

Endocarditis team

Cosa emerge dall’esperienza diretta del team endocardite?

Il team è il cuore pulsante nella gestione di una patologia così complessa e insidiosa. Solo integrando le competenze di cardiologi, cardiochirurghi, anestesisti, infettivologi e microbiologi possiamo rispondere con tempestività ed efficacia a ogni sfida diagnostica e terapeutica. La collaborazione multidisciplinare non è solo un valore aggiunto, ma la chiave per trasformare casi complessi in storie di successo clinico. Quando il team funziona, il paziente ha davvero una chance in più. Ecco perché investire sulla squadra, sulla comunicazione e sulla condivisione delle decisioni resta la strada maestra per vincere la sfida dell’endocardite

Sergio, oggi la telemedicina e le app dedicate possono davvero rendere il team operativo h24, coinvolgendo anche specialisti esterni all’ospedale?

La telemedicina e le app dedicate stanno rivoluzionando il nostro modo di lavorare. Grazie a questi strumenti, riusciamo a coinvolgere rapidamente colleghi anche fuori dal nostro ospedale, garantendo un confronto immediato e decisioni condivise, soprattutto nelle situazioni di emergenza-urgenza che non aspettano. La possibilità di avere il team operativo 24 ore su 24, 7 giorni su 7, permette di offrire una gestione tempestiva ed efficace anche nei casi più complessi, abbattendo le barriere geografiche e ottimizzando i tempi di intervento. È questa la vera forza della medicina moderna: essere squadra, anche a distanza

Secondo te, quanto è importante oggi il ruolo del territorio nella gestione dell’endocardite? E non pensi che sarebbe più efficace puntare su pochi centri di eccellenza cardiochirurgica, ben strutturati e collegati, invece di mantenere tanti centri con risorse disperse?

Guarda, il territorio è davvero il primo anello della catena nella gestione dell’endocardite. Senza una rete territoriale forte, che sappia riconoscere subito i casi sospetti e indirizzarli rapidamente verso i centri più attrezzati, rischiamo di arrivare tardi e di complicare il percorso dei pazienti. Il lavoro di squadra tra medici di medicina generale, cardiologi territoriali e strutture intermedie è fondamentale per ridurre i tempi e migliorare la presa in carico

Per quanto riguarda i centri di cardiochirurgia, sono convinto che la qualità debba venire prima della quantità. Pochi centri altamente specializzati, con team multidisciplinari e volumi adeguati, possono garantire risultati migliori e maggiore sicurezza per i pazienti. Disperdere le risorse su troppi centri rischia di abbassare il livello delle cure. Investire su realtà di eccellenza, ben collegate con il territorio, è la strada giusta per offrire a tutti la stessa possibilità di cura

Un’ultima domanda, Sergio: qual è la sfida più grande, oggi, per chi si occupa di endocardite?

La sfida più grande è non abbassare mai la guardia. L’endocardite non fa rumore, ma quando colpisce può essere devastante. Serve attenzione, aggiornamento continuo, lavoro di squadra. E serve anche un po’ di passione, quella che ci tiene svegli la notte e ci fa tornare in reparto la mattina, pronti a ricominciare

Così, tra una domanda e l’altra, emerge quanto la medicina sia prima di tutto ascolto, confronto e dedizione. E che, anche davanti alle sfide più insidiose, una squadra affiatata – che sa sfruttare al meglio anche la tecnologia – può davvero fare la differenza.

Redazione Corriere Nazionale

 

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