Tutti gli articoli di Riccardo Guglielmi

Il simbolismo del logo nella comunicazione visiva

Complici la tranquillità ed il senso di benessere che provo nel mio studio, dopo una intensa giornata di lavoro, in una sera di ottobre, mentre al computer preparavo la relazione per un importante congresso “Baricardiologia 2010” organizzato dalla nostra cardiologia, per dare forse maggiore senso di appartenenza ed attaccamento alla struttura nella quale quotidianamente, ancora con immutata passione ed entusiasmo, svolgo il mio ruolo professionale, mi è scattata l’idea di realizzare un’immagine simbolica, tipo crest militare o stemma, capace di richiamare immediatamente alla mente, con precisione ed immediatezza, il significato di una specifica attività professionale nel contesto del mio gruppo di lavoro. Trasmesso immediatamente, grazie al social network più usato, ad un collega, il dott. Sebastiano Cascella, il mio entusiasmo, in pochi minuti la bozza di un progetto di comunicazione visiva cominciava a prendere corpo. La fantasia, il vissuto ed il bagaglio di esperienze sono stati i veri artefici di questo logo che mi affretto a spiegare affinché il messaggio visivo possa avere un vero effetto comunicativo.
Le due U.O.C. di cardiologia ospedaliera e d’urgenza, come da previsione di un riordino aziendale, si fondano pur mantenendo le specifiche identità funzionali. Dalla fusione nasce una grande unità operativa complessa sotto un’unica direzione. La A bianca, che fuoriesce dal cuore in primo piano, rappresenta la struttura ambulatoriale, A come ambulatorio. Favorevole è anche la coincidenza della A con l’iniziale dell’attuale direttore, che è a capo di questa nuova realtà ospedaliera. Ancora A come autonomia che, pur nella subordinazione, abbia valore propositivo ed organizzativo, sempre integrata in un progetto corale dipartimentale, al fine di meglio valorizzare le risorse umane e di quella parte della dirigenza alla quale per anni è stata negata la possibilità di evidenziare le personali capacità.
A ogni singola struttura è stato attribuito un valore cromatico. Vediamo il significato dei colori. Forte richiamo all’identità nazionale, anche, in questo caso, la coincidenza dell’elaborazione del simbolo con la ricorrenza dei 150 anni dell’unità d’Italia. I colori sono quelli della bandiera ma vogliono essere portatori anche di altri messaggi. Il verde rappresenta l’ulivo, la pianta simbolo della nostra terra ed il suo prodotto, l’olio, che tanto giova al cuore. Il cuore verde corrisponde alla cardiologia d’urgenza, quindi la vitalità, considerata anche l’età più giovanile degli operatori in quell’unità, la speranza per il paziente che ricevere le prime cure. Il cuore rosso s’identifica con la cardiologia ospedaliera. Rosso come il sangue e come simbolo del coraggio del personale tutto che opera anche in situazioni estreme, spesso di disagio e di stress. Il bianco per la saggezza, maturità, necessarie e richieste, a chi quotidianamente, nell’esercizio dell’attività ambulatoriale evitata da molti perché dedicata prevalentemente a valutazioni preoperatorie ad alta valenza medicolegale, deve affrontare e risolvere situazioni delicate per i pazienti e per se stesso.
La cardiologia è inserita in un contesto aziendale globale. Ecco quindi i riferimenti all’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico di Bari.
Il crest militare o lo stemma sono sempre posti su un supporto raffigurante lo scudo. Il nostro lavoro non deve avere nulla di militare o bellico, anzi tutte le nostre capacità non devono essere disperse ma rinchiuse in una forma geometrica pura, perfetta ed ugualitaria come è il cerchio.
Infine il motto della struttura ambulatoriale. Due semplici verbi latini, all’infinito per non dare un limite temporale, uniti dalla congiunzione. Adiuvare, offrire aiuto e soccorso, valere, evidenziare capacità, professionalità, efficienza. La congiunzione “et” per rendere il tutto inscindibile e paritario.
A chi chiede lo scopo di questo lavoro voglio rispondere che l’obiettivo è formare un gruppo valorizzando le capacità singole. Condividere il messaggio comunicativo del simbolo per essere fieri dell’appartenenza a quella specifica Unità Operativa  e per sviluppare un clima di rispetto, solidarietà e serenità lavorativa. Fare non solo squadra per “adiuvare et valere” chi richiede la nostra opera, ma anche fare orchestra per  migliorare se stessi.

 

15.01.2011

Medicina dello Sport ponte tra Territorio ed Università

RISCHIO PROFESSIONALE PER IL MEDICO CERTIFICATORE ED IL MEDICO SOCIALE

 

 

 

Hotel Palace, Bari, 12/06/2010

 

 

 

La Legge del 18/02/1982 che prevede l’obbligatorietà della visita medica per la partecipazione a qualsiasi attività di tipo agonistico già poneva storicamente il nostro Paese all’avanguardia in Europa nella tutela sanitaria dello sport agonistico.

 

 

Con tale normativa il medico specialista in Medicina dello Sport nell’atto della compilazione di un certificato di idoneità sportiva agonistica (in media della durata di un anno) si assume la responsabilità medico-legale dello stato di salute dell’atleta,  attuale e sino alla data di scadenza della certificazione stessa. Il giudizio di idoneità nasce pertanto da una collaborazione interdisciplinare, quasi collegiale, dove certamente appare rilevante la competenza cardiologica. L’atleta, per ottenere il giudizio di idoneità, segue percorsi diagnostici standard (ECG di base e da sforzo, spirometria…) che per alcuni sport prevedono ulteriori indagini (esame audiometrico negli sport subacquei, visita neurologica + EEG negli sport motoristici, TAC celebrale nel pugilato dopo KO); ovviamente, se nel corso dei protocolli diagnostici si evidenziano talune anomalie per es. cardiologiche, sono previste ulteriori indagini di secondo livello (Ecocardiogramma) e di terzo livello (indagini emodinamiche ed elettrofisiologiche).

 

Certamente oggi, con  l’assenza di una medicina scolastica e dellavisita militare obbligatoria per il servizio di leva, la medicina dello sport assume un ruolo preminente nella prevenzione primaria sul territorio. Tale ruolo viene svolto anche per gli over 35-40 e per tutti gli atleti amatoriali in genere, soprattutto per coloro che dopo una vita sedentaria si improvvisano maratoneti. Anche la certificazione di idoneità sportiva non agonistica, demandata ai medici di base, dovrebbe comunque anche essere supportata da opportune indagini diagnostiche.

Altrettanto rilevante appare il ruolo del medico sociale che pur non entrando in merito al giudizio di idoneità sportiva agonistica, certificazione che viene rilasciata nei Centri CONI e nei Centri di Medicina Sportiva territoriali o aziendali, è responsabile dello stato di salute e dell’integrità fisica del team sportivo sia nell’allenamento che durante la gara (ci sembra opportuno ricordare a tale proposito come sarebbe auspicabile nel corso di ogni evento sportivo la disponibilità di un defibrillatore, già in dotazione alle forze dell’ordine, e di operatori sanitari esperti in tecniche di rianimazione). Si richiedono oggi al medico sociale anche competenze specifiche in diverse discipline, dalla dietologia alla psicologia, ed una valutazione attenta sull’equilibrio psico-fisico dell’atleta nella modulazione degli allenamenti e nella partecipazione alla gara; spesso infatti, per meri aspetti economici, chi gareggia  è portato a sottovalutare o ad occultare sintomi che possono essere espressione di patologie in atto.

 

 

 

In questo quadro un ruolo fondamentale è certamente quello svolto dall’Università che è sempre stata storicamente vicina al mondo dello Sport e non solo universitario.

La nostra Istituzione interviene oggi nella formazione degli specialisti in Medicina dello Sport valorizzando ed incrementando competenze sempre più specifiche e nella formazione degli studenti dei corsi di laurea in Scienze Motorie rappresentando questi i futuri quadri dirigenziali sportivi (allenatori, preparatori tecnici).

 

 

 

 

Particolarmente sentita è poi l’esigenza di proporre Master  e Corsi di Perfezionamento in Cardiologia e Medicina dello Sport dando contestualmente anche un maggiore impulso alla ricerca nei Centri Universitari Sportivi,  dove sono prevalentemente collocati sul territorio nazionale i Corsi di laurea in scienze Motorie.

 

 

Potrebbero in tal modo essere per esempio più opportunamente studiati gli aspetti ergonomici di tutti i gesti atletici e, nel settore  biomeccanico, i materiali sportivi, dall’abbigliamento alle attrezzature.

* Prof. Corrado Petrocelli Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Bari

 

* Dott. Riccardo Guglielmi Responsabile Cardiologia dello Sport Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Bari

Essere medico nel corso della crisi finanziaria planetaria.

La crisi finanziaria, ormai in atto, non riguarda solo i paesi in via di sviluppo ma tutto il pianeta per la globalizzazione dei mercati. Paradossalmente è cominciata proprio negli stati che per storia, per tradizione, per risorse accumulate, sembravano esserne immuni. Le economie più giovani, proprio di quei paesi che sino a pochi anni orsono erano lontani dal benessere occidentale, si stanno prodigando per non far crollare gli stati in crisi, non certo per carità cristiana, ma per limitare i danni al proprio sistema economico e non essere trascinati nuovamente nell’abisso della povertà. Quando c’è stata crisi economica si è sempre intervenuto nel ridurre la spesa previdenziale ed assistenziale, con conseguenze negative sulla salute.
Un recente report dell’OMS, pubblicato a gennaio 2009, affronta il tema della crisi economica e finanziaria mondiale e il potenziale impatto negativo sulla spesa sanitaria, sull’organizzazione dei sistemi sanitari, sui modelli di stile di vita ed in ultima analisi sugli esiti sanitari in maniera diversa dal passato. Con grande stupore sono proposti investimenti sul “sistema salute” ed una attenta vigilanza per cogliere la comparsa di eventuali segni premonitori negativi. Tutti i paesi del mondo, ma alcuni in particolare, quelli poco abituati ai sacrifici, risentiranno di questa preoccupante situazione, esponendo a rischio le popolazioni più vulnerabili ed incrementando il fenomeno della povertà. La povertà, io credo, è il fattore di rischio più significativo per l’insorgenza, lo sviluppo e la diffusione delle malattie, anche se non è scritto nei sacri testi scientifici. Qualcuno direbbe che con la povertà diminuiscono le malattie cardiovascolari. Nel passato era così, ma il presente dimostra che, se le risorse familiari sono poche, diminuisce la qualità dei cibi, vi è un minore consumo di frutta e verdura, aumenta l’assunzione di cibi a poco prezzo ricchi di grassi saturi, aumenta il consumo di alcolici e tabacco. Negli USA l’obesità è la caratteristica delle classi più povere. Tutto questo per auspicare un forte senso di solidarietà tra istituzioni politiche/governi e società civile e cittadini tutti. Solidarietà come vera arma vincente. Solidarietà non come pacca sulla spalla ma come messa in campo di risorse vere.
Contrariamente a quanto è avvenuto in occasione di passate crisi economiche, la proposta è di incrementare il budget destinato alla salute, investimento che è stato dimostrato indurre significativi benefici economici. Naturalmente la spesa sanitaria deve orientarsi a una maggiore efficacia ed efficienza, specialmente nel settore pubblico, sottoposto in queste circostanze a una maggiore domanda.
Le aree di intervento per limitare le conseguenze sulla salute, proposte dal report dell’OMS, sono cinque:
1. leadership: le autorità nel settore della salute, a livello nazionale e nelle regioni, debbono farsi carico di queste problematiche
2. monitoraggio dei dati informativi e loro analisi: questo rappresenta un punto fondamentale per affrontare con razionalità e cognizione di causa i problemi emergenti (in particolare, costi e accessibilità ai farmaci)
3. aumento della spesa pubblica, per far fronte ai fenomeni di povertà e migliorare lo stato di salute
4. equità di accesso ai sistemi sanitari, solidarietà e universalità, intesi quali ‘valori base’ su cui vigilare
5. ottimizzazione della spesa sanitaria, evitando sprechi e duplicazioni, migliorando le sinergie, investendo in misure preventive. Il dibattito è appena iniziato, ma il livello di attenzione a queste tematiche non potrà che aumentare nei prossimi mesi anche nel nostro paese.

Solidarietà, umanità, gestione oculata delle poche risorse a disposizione con attenzione al risparmio sulla spesa farmaceutica, sulla diagnostica e sulle ospedalizzazioni. Meno tecnologia ma più semeiotica e clinica. Rigore ed etica nel saper ridurre la richiesta dell’utenza. Questi saranno i principi a cui dovrà ispirarsi il medico nel periodo della crisi finanziaria planetaria a cui stiamo andando incontro.

Riferimento (The financial crisis and global health. Report of World Health Organization. 19 January 2009)

Bari 21/03/09
Riccardo Guglielmi

Investire nei giovani per abbassare il rischio residuo

Mancano poche ore all’inizio della campagna “Accendi il tuo cuore per la ricerca”, promossa dalla Fondazione “per il Tuo Cuore” – HCF Onlus e coordinata dal prof. Attilio Maseri. L’obiettivo è “far conoscere ai cittadini la necessità di una nuova strategia di ricerca clinica per meglio personalizzare la terapia e la prevenzione delle malattie cardiovascolari” e di conseguenza raccogliere le risorse finanziarie per attivare specifici progetti di ricerca. Ogni cuore è diverso, soggetti con comportamenti virtuosi, con stili di vita corretti si ammalano lo stesso di infarto, mentre spesso osserviamo individui golosi, ipertesi e magari accaniti fumatori che campano meglio e più a lungo di altri più virtuosi? Perché, nelle medesime condizioni patogene e di rischio cardio-vascolare, certe persone si ammalano e altre no?

Per fortuna i numeri e le probabilità sono a favore di chi è corretto, ma purtroppo un gruppo sempre più grande sfugge alla regola. Perché succede questo. Deve esistere una diversità nella genetica che produce apparati cardiovascolari più esposti alle malattie o sussistono altri fattori di rischio, magari sotto gli occhi di tutti noi, che sono parte integrante del quotidiano e che sfuggono alla nostra osservazione. Si comincia a parlare di ambiente, di depressione, di comportamenti sociali del terzo millennio, ritmi lavorativi sempre più frenetici, riduzione delle ore di sonno, mancanza della netta differenziazione maschile e femminile in ambito familiare, minore attenzione nella crescita dei figli, perdita di valori e uso di droghe.

Un nuovo aggettivo si è unito al sostantivo rischio. In medicina adesso si parla dirischio residuo per quei soggetti che, pur trattati correttamente, continuano ad avere eventi avversi. Malgrado tutti gli sforzi, nell’ultimo decennio la curva di riduzione di questi eventi e della mortalità in particolare, ha subito un drastico rallentamento che, per le fasce d’età più giovanili, è risultato addirittura quasi un’inversione di tendenza (O’Flaherty M et al. Heart 2008;94:178-181 ). La comunità scientifica parla di un rischio intrinseco all’età con la previsione che la cardiopatia coronarica possa, nel terzo millennio, avere valore di epidemia. Si ipotizzano, come cause, una scarsa “compliance” della terapia e il mancato raggiungimento dei bersagli prefissati. Scenderanno in campo Task Force sempre più motivate ad enfatizzare ed abbassare i valori dei fattori di rischio tradizionali, colesterolo, pressione arteriosa, quasi che l’azzeramento possa impedire l’insorgenza delle patologie, senza considerare che una “vita senza colesterolo” creerebbe tante problematiche a livello psicologico per interferenza sui piaceri della tavola e del sesso. Forse meno infarti all’inizio, ma più tristezza quindi più depressione e di conseguenza altri infarti nel futuro.

Pochi si soffermano a scoprire le vere cause dell’aumento dell’obesità, del diabete, dell’insufficienza renale e soprattutto dei disturbi del comportamento, anche in termini relazionali, soprattutto tra i giovani. La mia idea è che nei prossimi decenni, malgrado tutti gli sforzi in termini di campagne di prevenzione, il rischio residuo aumenterà e saranno fasce di età sempre più giovanili a pagarne le conseguenze, forse perché oggi la società non investe nei giovani. Qualcuno li ha chiamati bamboccioni, altri mammoni, altri li definiscono delinquenti, privi di valori………….ma non ci rendiamo conto che nella nuova generazione stanno crescendo i disturbi del comportamento, da quello alimentare, a quello sociale, per perdita di ideali e di solidarietà, per enfatizzazione dell’effimero e dell’immagine. Aumenta il consumo di tabacco, di alcoolici e di stupefacenti. Più forma e meno sostanza. Aumenta il disagio, aumentano i disturbi della sfera psicologica. Perdono la voglia di emergere nei ruoli che noi riteniamo positivi e che nei quali non si riconoscono. Queste situazioni rappresentano un nuovo brodo di coltura nel quale gli agenti eziologi delle malattie e di quelle cardiovascolari in particolare, troveranno facile sviluppo. La colpa di tutto ciò non è solo dei ragazzi. Noi abbiamo grandi responsabilità e per paura della loro libertà non facciamo alcun investimento su di loro. Non diamo sicurezza a quei pochi che entrano nel mondo del lavoro e della ricerca in particolare. Risorse, responsabilità sono riservate ad una classe di anziani che vuol mantenere privilegi e potere, un esempio per tutti quello dei primari ospedalieri che pretendono di restare in servizio attivo sino ai 70 anni, se non oltre. Recentemente ho sentito affermare da un onorevole, non importa di quale schieramento politico, le malattie non sono di destra o di sinistra, che i giovani non vogliono prendere l’ascensore della salita sociale. Io credo che forse noi, da troppi anni, abbiamo fermato per manutenzione questo ascensore. Ma se l’ascensore è fermo, i giovani devono cominciare a salire, correndo per le scale, da soli.  Ciò sarà veramente difficile da impedire.

 

Riccardo Guglielmi 5 febbraio 2009

 

Inserito 16/02/2011

 

15/02/11,10:00, Novità in Cardiology a cura di Domenico Sommariva – Responsabile Editoriale WEB per il sito SISA
Il rischio cardiovascolare residuo
Fonte: www.sisa.it
E’ ben noto che la riduzione della colesterolemia si associ ad una diminuzione degli eventi cardiovascolari, meno nota, ma già ampiamente documentata è la possibilità che la terapia ipocolesterolemizzante ben condotta sia in grado di arrestare la progressione e portare anche alla regressione dell’ateroma. Su queste basi, le società scientifiche hanno stilato i principi per una corretta prevenzione delle malattie cardiovascolari, stabilendo dei valori desiderabili di colesterolo LDL variabili a seconda del profilo di rischio individuale. Per i pazienti a rischio molto elevato, il consiglio è di raggiungere un livello di colesterolo LDL di circa 70 mg/dL.
Tuttavia non tutti i pazienti che raggiungono gli obiettivi terapeutici suggeriti dalle linee guida internazionali, hanno un beneficio dalla terapia ipocolesterolemizzante. Nei tre più noti studi di terapia intensiva con statine, l’incidenza di eventi cardiovascolari è rimasta piuttosto elevata. Nel PROVE-IT-TIMI (1), a fronte di un livello medio di colesterolo LDL di 62 mg/dL, l’incidenza di eventi cardiovascolari maggiori nel periodo di osservazione è stata del 22,4%, nell’IDEAL (2) del 12,0%, con un livello medio di colesterolo LDL di 81 mg/dL e nel TNT (3) del 8,7% con un livello medio di colesterolo LDL di 77 mg/dL. Risultati significativamente migliori di quelli ottenuti con la terapia meno aggressiva, che già di per sé è notoriamente efficace, ma ancora insoddisfacenti. E’ certamente poco verosimile pensare di arrivare ad un rischio residuo uguale a zero, ma è invece realistico pensare di poter ridurre ulteriormente la probabilità di malattia con un’azione più incisiva sui principali fattori di rischio correggibili.
Oltre alla colesterolemia, ipertensione e diabete sono i fattori di rischio sui quali si è già sperimentato un approccio aggressivo, ma i risultati sono stati deludenti (4), come deludenti sono stati i tentativi fatti con antiossidanti o con il trattamento dell’iperomocisteinemia 5. Quanto alla proteina C reattiva, di cui si è tanto parlato, questa sembra più un marcatore di rischio che un fattore patogenetico e come tale è dubbio che un’azione mirata su di essa possa portare qualche beneficio. Le maggiori promesse per ridurre il rischio residuo sono ancora nel campo dei lipidi: colesterolo HDL e trigliceridi. Anche in corso di terapia con statine ambedue conservano un forte potere predittivo nei confronti degli eventi cardiovascolari 6, solo lo studio JUPITER tende a negarlo 7.
L’analisi di Bayturan e Coll., conferma che la strategia migliore per la prevenzione delle malattie cardiovascolari deve tenere conto non solo del colesterolo LDL che comunque rimane l’obiettivo principale della terapia, ma anche degli altri parametri lipidici. L’analisi è condotta sui dati di 7 studi prospettici che hanno coinvolto pazienti studiati con ultrasonografia intra-arteriosa (IVUS) per verificare l’impatto della terapia intensiva con farmaci ipolipidemizzanti, anti-ipertensivi, inibitori dell’acil:colesterol acil transferasi, ipoglicemizzanti orali, e antagonisti del recettori per gli endocannabinoidi sulla progressione dell’aterosclerosi coronarica. Studi tra loro molto diversi, ma che avevano in comune l’obiettivo della terapia ed il metodo di valutazione dell’evoluzione delle placche ateromasiche. Su una popolazione totale di 3.437 pazienti, 951 avevano nel corso del follow-up un livello di colesterolo LDL inferiore ai 70 mg/dL ed in 200 (21%) di questi si è osservata una progressione della malattia coronarica. Trigliceridi (121 mg/dL contro 111), pressione sistolica (131 mmHg contro 128), apo B (66 mg/dL contro 62) e colesterolo LDL (58 mg/dL contro 57) erano i parametri che differenziavano i pazienti con progressione da quelli senza progressione delle lesioni coronariche. Contrariamente all’atteso non viene riportata alcuna differenza significativa tra i due gruppi per quanto riguarda il livello di colesterolo HDL che comunque emerge come fattore protettivo indipendente all’analisi multivariata. Si può concludere che una volta raggiunto l’obiettivo terapeutico per il colesterolo LDL ci si debba rivolgere alla correzione dei livelli di colesterolo HDL e dei trigliceridi? Probabilmente sì, anche se non è chiaro come. I fibrati e l’acido nicotinico rimangono al momento i soli farmaci disponibili per ridurre i trigliceridi e per aumentare il colesterolo HDL, ma i fibrati non hanno ancora dato una prova chiara di un effetto protettivo sulle malattie cardiovascolari e l’acido nicotinico ha indubbiamente dimostrato la sua efficacia nel ridurre lo spessore medio-intimale delle carotidi 8, ma mancano ancora dati numericamente convincenti della sua influenza sugli eventi clinici.
Il colesterolo LDL però ritorna prepotentemente alla ribalta con un’ultima meta-analisi 9 che, in sintonia con il noto assioma “lower is better” dimostra che la riduzione del colesterolo LDL dai 70 mg/dL a valori intorno ai 50 mg/dL comporta un ulteriore significativo risparmio degli eventi cardiovascolari. C’è anche un altro attore che riprende la scena dopo varie vicissitudini che hanno prima sottolineato e poi demolito il suo ruolo predittivo nei confronti della malattia cardiovascolare: si tratta della lipoproteina (a), il cui livello potrebbe spiegare, almeno in parte, la probabilità di malattia cardiovascolare residua anche con livelli di colesterolo LDL nei limiti desiderabili 10. La misura della lipoproteina (a) è raccomandata nei soggetti a rischio intermedio e alto e, se il livello supera i 50 mg/dL, il suggerimento è di iniziare una terapia con acido nicotinico che si è dimostrato attivo nel ridurla.
Per una corretta definizione del rischio residuo e soprattutto per l’impostazione di un’adeguata terapia, i problemi aperti sono ancora molti. Per i pazienti ad alto rischio il raggiungimento di un livello di colesterolo LDL di 70 mg/dL forse non è sufficiente e bisogna spingere la terapia in modo da ottenere valori sostanzialmente più bassi. Magari sarebbe meglio utilizzare come parametro di riferimento al posto del colesterolo LDL, la concentrazione di apoproteina B che dà una stima più accurata del numero delle particelle LDL, secondo alcuni più significativo, per la valutazione del rischio, della concentrazione del colesterolo veicolato dalle LDL 11. Trigliceridi e colesterolo HDL sono sicuramente implicati nel determinare il rischio residuo e per loro va impostata una terapia specifica, una volta raggiunto il target delle LDL. Infine, attenzione alla concentrazione della lipoproteina (a), ben trattabile, se occorre, con l’acido nicotinico. Senza dimenticare naturalmente il controllo ottimale della pressione arteriosa e del diabete, l’abolizione del fumo e un corretto stile di vita.
Clinical predictors of plaque progression despite very low levels of low-density
Bayturan O, Kapadia S, Nicholls SJ, Tuzcu EM, Shao M, Uno K, Shreevatsa A, Lavoie AJ, Wolski K, Schoenhagen P, Nissen SE.
J Am Coll Cardiol 2010;55:2736-42
Altri commenti presenti sulla sezione SISAUpdate del sito della SISA:
•    Efficacia dei fibrati sugli eventi cardiovascolari: revisione sistematica e meta-analisi
http://www.sisa.it/
Commento a cura di: Carlo M. Barbagallo
•    Marcatori genetici e rischio cardiovascolare
http://www.sisa.it/
Commento a cura di: Livia Pisciotta
Bibliografia
1.    Cannon CP et al, Intensive versus moderate lipid lowering with statins after acute coronary sindrome. N Engl J Med 2004;350:1495-504
2.    Pedersen TR et al. High-dose atorvastatin vs usual-dose simvastatin for secondary prevention after myocardial infarction: the IDEAL study: a randomized controller trial. JAMA 2005;294:2437-45
3.    La Rosa JC et al. Imntensive lipid lowering with atorvastatin in patients with stable coronary disease. N Engl J Med 2005;352:1425-35
4.    Skyler JS et al. Intensive glycemic control and the prevention of cardiovascular events. Implications of the ACCORD, ADVANCE, and VA diabetes trials: a position statement of the American Diabetes Association and a Scientific Statement of the American College of Cardiology Foundation and the American Heart Association. J Am Coll Cardiol 2009;53:298 –304.
5.    Ciaccio M, Bellia C. Hyperhomocysteinemia and cardiovascular risk: effect of vitamin supplementation in risk reduction. Curr Clin Pharmacol 2010;5:30-6
6.    Carey VJ et al. Contribution of High Plasma Triglycerides and Low High-DensityLipoprotein Cholesterol to Residual Risk of Coronary HeartDisease After Establishment of Low-Density Lipoprotein Cholesterol Control. Am J Cardiol 2010;106:757-63
7.    Ridker PM et al. HDL cholesterol and residual risk of first cardiovascular events after treatment with potent statin therapy: an analysis from the JUPITER trial. Lancet 2010;376:333-39
8.    Villines TC et al. The ARBITER-6 HALTS Trial (Arterial Biology for the Investigation of the Treatment Effects of Reducing Cholesterol 6–HDL and LDL Treatment Strategies in Atherosclerosis). J Am Coll Cardiol 2010;55:2721-6
9.    Cholesterol Treatment Trialists’ (CTT) Collaboration. Efficacy and safety of intensive LDL-cholesterol-lowering therapy: A meta-analysis of data from 170 000 participants in 26 randomised trials. Lancet 2010; 376:1670-81
10.    Nordestgaard BG et al. Lipoprotein(a) as a cardiovascular risk factor: current status. Eur Heart J 2010;31:2844-53
11.    Brooks L Should LDL-Cholesterol Particle Concentrations Replace LDL Levels to Assess Risk? American Heart Association (AHA) 2008 Scientific Sessions

Malattie cardiovascolari e ricerca futura

Considerazioni dal congresso di Cardiologia e dintorni nei paesi adriatici

 

Il futuro della ricerca tra richezza e povertà di finanziamenti: servono risposte nuove

 

Le patologie cardiovascolari restano saldamente al primo posto come la principale causa di disabilità e morte, sia nei paesi occidentali che in quelli orientali, nonostante i grandi progressi della tecnica diagnostica, della rivascolarizzazione ed un crescente e diffuso ricorso ai farmaci. Statine, beta-bloccanti e terapie anti-ipertensive sono riuscite ad abbassare l’impatto emozionale che infarto e ictus hanno da sempre sulla popolazione, ma non ne hanno altrettanto abbassata la loro pericolosità. Alle malattie cardiovascolari è da imputare, infatti, il 50% delle morti nel mondo, contro un modesto 27% attribuibile ai tumori. Tradotte in numeri assoluti, queste percentuali corrispondono in Italia a circa 250 mila vittime all’anno, con un impressionante aumento della casistica femminile. Rappresentano la più alta voce della spesa sociale in termini di invalidità ed inabilità lavorativa. Alle malattie cardiovascolari il titolo e la conferma di essere considerate come i più temibili tra i grandi killer dell’età moderna.

E’ da questo dato drammatico e inequivocabile che il Prof. Attilio Màseri ha preso le mosse per lanciare il suo appello, suonato come un monito alle orecchie dei numerosi specialisti presenti, al convegno internazionale “Cardiologia e dintorni nei paesi adriatici”. Il convegno si è svolto recentemente, 12 settembre 2008,  nel Castello Carlo Quinto di Lecce sotto la presidenza del Prof. Alessandro Distante (Università di Pisa), che guida la sezione salentina dell’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR e l’Istituto Scientifico Biomedico Euro Mediterraneo (ISBEM) di Brindisi, grazie all’impagabile impegno della dott.essa Giuseppina De Benedittis e del Dott. Luigi Greco. Presenti numerose autorità civili e, per il direttivo dell’ANCE Paolo Teoni ed Enzo Romano.

Il calcio di inizio è stato dato dal Cardiologo di due Papi e della Regina Elisabetta, il Prof. Màseri. Bisogna domandarsi perché, nonostante i sempre più potenti mezzi di diagnosi e cura, si continua a morire tanto per  queste malattie. Bisogna  trovare le risposte. Sicuramente il fumo, l’eccesso di cibo, il sovrappeso e la vita troppo sedentaria giocano un ruolo importante in tutto ciò. Ma perché mai, come noi tutti abbiamo modo di verificare, ci sono individui golosi, ipertesi e magari accaniti fumatori che campano meglio e più a lungo di altri più virtuosi? Perché, nelle medesime condizioni patogene e di rischio cardio-vascolare, certe persone si ammalano e altre no?
La ricerca in cardiologia deve fare il salto di qualità e andare alla scoperta di cose nuove, non ancora scritte nei libri, che possono venir fuori solo dallo studio della biodiversità. Esistono, evidentemente, fattori di protezione, genetici, ambientali che producono le benefiche anomalie in grado di proteggere l’individuo. Il ricercatore del terzo millennio deve superare i paradigmi tradizionali, rinunciando alle soluzioni standardizzate e preconcette. Studiare la diversità significa partire dai casi paradossali,come quello di Winston Churchill, morto in età avanzata nonostante le sue pessime abitudini di vita, alcol e fumo. Non dimentichiamo i simili paradossi europei, quello francese più noto  e quello albanese meno noto. Si potrà osservare che si tratta di casi anomali, rari, estremi: sì, ma proprio per questo, utilissimi a far luce su meccanismi ancora ignoti e, quindi preziosi, per capire e trovare nuovi rimedi.

 

A questi concetti ha fatto eco Riccardo Guglielmi, che accanto alla ricerca istituzionale, università ed industria, ricca per finanziamenti pubblici e privati, può e deve sussistere anche laricerca povera, basata sull’osservazione, sull’analisi del quotidiano, su quanto avviene nei nostri ambulatori e nei nostri ospedali, da quelli di eccellenza a quelli zonali o di trincea. Ricerca è anche studio dei comportamenti e delle tendenze sociali, delle condizioni esterne, dell’ambiente. L’ambiente condiziona le specie animali e vegetali e l’individuo che nasce, si sviluppa, muore. Migliori sono le condizioni ambientali, migliore sarà la quantità di vita. Ma la vita merita anche qualità, un obiettivo che si può raggiungere, in principale modo, potenziando le capacità interiori dell’uomo. Ci sarà sempre maggiore bisogno nel futuro di  cultura, filosofia e quella sana spiritualità che genera valori, regole condivise, solidarietà. Benessere mentale come fattore crescita del potenziale di salute. La ricerca povera è semplice, non ha bisogno di alte tecnologie, ma ha un alto valore epidemiologico-statistico. Può essere effettuata nei nostri ambulatori specialistici, quotidianamente, dati gli alti numeri degli utenti. Obiettivo pratico, per esempio, la farmacovigilanza, l’analisi degli effetti collaterali dei farmaci e l’impatto delle nuove molecole in termini di “compliance”, efficacia ed affidabilità. L’osservazione sarà il data base per le analisi delle diversità. Quest’alta mole di dati epidemiologici può diventare il punto di partenza per ulteriori ricerche di livelli superiori e può notevolmente servire per creare dei modelli in termini gestionali, anche per tutti gli utenti che afferiscono nei nostri ambulatori e ospedali. La ricerca povera ha anche una ricchezza nascosta. Si trasforma in gestione delle patologie territoriali,  qualità dei servizi,  pieno soddisfacimento dei bisogni dell’utenza.

 

Alle parole devono seguire i fatti, ponendosi degli obiettivi raggiungibili, per non incorrere in facili criticità.  Creare una comunità scientifica di qualità che richiami ricercatori anche da altre sedi. Carriere definite e certe. Dedicarsi alla ricerca non dovrà generare il dubbio della sopravvivenza. Maggiore integrazione Ospedale –  Territorio – Centri di Riferimento.

Per raggiungere questi obiettivi bisogna avere il coraggio di investire sui giovani. La scuola ed ancor peggio l’attuale Università, rimangono lontane dalla realtà. Nozionismo, programmi obsoleti, frammentarietà di corsi, difficoltà continue didattiche e burocratiche, strenua difesa del nepotismo ed apparente rigore solo su chi è debole, lo studente. A quest’ultimo si chiede molto in termini quantitativi e qualitativi, generando illusione su un futuro che l’attuale realtà non mostra di essere roseo. Sicuramente d’importanza primaria sarà, per coloro che sono inseriti nel sistema, aggiornarsi continuamente e al meglio su novità, protocolli, linee-guida, conoscenza dei trattamenti in centri di eccellenza, per essere sempre più vicini alle nuove esigenze dei pazienti e per poter offrire le migliori e più moderne prestazioni. I fondi per la ricerca e sviluppo del meridione dovranno evitare la fuga delle risorse umane  e i viaggi della speranza.

 

La strategia vincente sarà  investire su quei giovani, preparati, pronti a sacrifici e rinunce, che vogliono fare ricerca scientifica. Le Regioni e lo Stato devono concretamente aiutare e valorizzare questo enorme patrimonio di risorse umane rappresentato dalla generazione sotto i 40 anni. I giovani italiani vogliono far ricerca (il 4% è rimasto in Italia, il 25% ha scelto la Gran Bretagna). Gli Istituti di Credito, commercializzando titoli spazzatura, hanno creato ricchezza in pochi, povertà in molti. L’appello è che invertano la tendenza con investimenti e finanziamenti su progetti di ricerca. Nel rinascimento l’arte, l’architettura erano finanziate da privati mecenati, dalla chiesa e dai locali istituti di depositi e crediti. Allora era una scommessa l’investimento sugli artisti e sugli architetti, oggi è nostro un patrimonio culturale unico al mondo. La genetica, l’astrofisica sono le attuali punte di diamante. Ambiente e medicina non dovranno essere da meno. Noi non dobbiamo aver paura della libertà dei ragazzi. I migliori dimostrano di saper gestire la loro indipendenza. La conclusione è dobbiamo recuperare la nostra antica capacità di attrazione culturale se non vogliamo diventare soltanto l’appendice turistica dell’Europa.

ricercatore

Bari 8/12/2008