Malattie cardiovascolari e ricerca futura

Considerazioni dal congresso di Cardiologia e dintorni nei paesi adriatici

 

Il futuro della ricerca tra richezza e povertà di finanziamenti: servono risposte nuove

 

Le patologie cardiovascolari restano saldamente al primo posto come la principale causa di disabilità e morte, sia nei paesi occidentali che in quelli orientali, nonostante i grandi progressi della tecnica diagnostica, della rivascolarizzazione ed un crescente e diffuso ricorso ai farmaci. Statine, beta-bloccanti e terapie anti-ipertensive sono riuscite ad abbassare l’impatto emozionale che infarto e ictus hanno da sempre sulla popolazione, ma non ne hanno altrettanto abbassata la loro pericolosità. Alle malattie cardiovascolari è da imputare, infatti, il 50% delle morti nel mondo, contro un modesto 27% attribuibile ai tumori. Tradotte in numeri assoluti, queste percentuali corrispondono in Italia a circa 250 mila vittime all’anno, con un impressionante aumento della casistica femminile. Rappresentano la più alta voce della spesa sociale in termini di invalidità ed inabilità lavorativa. Alle malattie cardiovascolari il titolo e la conferma di essere considerate come i più temibili tra i grandi killer dell’età moderna.

E’ da questo dato drammatico e inequivocabile che il Prof. Attilio Màseri ha preso le mosse per lanciare il suo appello, suonato come un monito alle orecchie dei numerosi specialisti presenti, al convegno internazionale “Cardiologia e dintorni nei paesi adriatici”. Il convegno si è svolto recentemente, 12 settembre 2008,  nel Castello Carlo Quinto di Lecce sotto la presidenza del Prof. Alessandro Distante (Università di Pisa), che guida la sezione salentina dell’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR e l’Istituto Scientifico Biomedico Euro Mediterraneo (ISBEM) di Brindisi, grazie all’impagabile impegno della dott.essa Giuseppina De Benedittis e del Dott. Luigi Greco. Presenti numerose autorità civili e, per il direttivo dell’ANCE Paolo Teoni ed Enzo Romano.

Il calcio di inizio è stato dato dal Cardiologo di due Papi e della Regina Elisabetta, il Prof. Màseri. Bisogna domandarsi perché, nonostante i sempre più potenti mezzi di diagnosi e cura, si continua a morire tanto per  queste malattie. Bisogna  trovare le risposte. Sicuramente il fumo, l’eccesso di cibo, il sovrappeso e la vita troppo sedentaria giocano un ruolo importante in tutto ciò. Ma perché mai, come noi tutti abbiamo modo di verificare, ci sono individui golosi, ipertesi e magari accaniti fumatori che campano meglio e più a lungo di altri più virtuosi? Perché, nelle medesime condizioni patogene e di rischio cardio-vascolare, certe persone si ammalano e altre no?
La ricerca in cardiologia deve fare il salto di qualità e andare alla scoperta di cose nuove, non ancora scritte nei libri, che possono venir fuori solo dallo studio della biodiversità. Esistono, evidentemente, fattori di protezione, genetici, ambientali che producono le benefiche anomalie in grado di proteggere l’individuo. Il ricercatore del terzo millennio deve superare i paradigmi tradizionali, rinunciando alle soluzioni standardizzate e preconcette. Studiare la diversità significa partire dai casi paradossali,come quello di Winston Churchill, morto in età avanzata nonostante le sue pessime abitudini di vita, alcol e fumo. Non dimentichiamo i simili paradossi europei, quello francese più noto  e quello albanese meno noto. Si potrà osservare che si tratta di casi anomali, rari, estremi: sì, ma proprio per questo, utilissimi a far luce su meccanismi ancora ignoti e, quindi preziosi, per capire e trovare nuovi rimedi.

 

A questi concetti ha fatto eco Riccardo Guglielmi, che accanto alla ricerca istituzionale, università ed industria, ricca per finanziamenti pubblici e privati, può e deve sussistere anche laricerca povera, basata sull’osservazione, sull’analisi del quotidiano, su quanto avviene nei nostri ambulatori e nei nostri ospedali, da quelli di eccellenza a quelli zonali o di trincea. Ricerca è anche studio dei comportamenti e delle tendenze sociali, delle condizioni esterne, dell’ambiente. L’ambiente condiziona le specie animali e vegetali e l’individuo che nasce, si sviluppa, muore. Migliori sono le condizioni ambientali, migliore sarà la quantità di vita. Ma la vita merita anche qualità, un obiettivo che si può raggiungere, in principale modo, potenziando le capacità interiori dell’uomo. Ci sarà sempre maggiore bisogno nel futuro di  cultura, filosofia e quella sana spiritualità che genera valori, regole condivise, solidarietà. Benessere mentale come fattore crescita del potenziale di salute. La ricerca povera è semplice, non ha bisogno di alte tecnologie, ma ha un alto valore epidemiologico-statistico. Può essere effettuata nei nostri ambulatori specialistici, quotidianamente, dati gli alti numeri degli utenti. Obiettivo pratico, per esempio, la farmacovigilanza, l’analisi degli effetti collaterali dei farmaci e l’impatto delle nuove molecole in termini di “compliance”, efficacia ed affidabilità. L’osservazione sarà il data base per le analisi delle diversità. Quest’alta mole di dati epidemiologici può diventare il punto di partenza per ulteriori ricerche di livelli superiori e può notevolmente servire per creare dei modelli in termini gestionali, anche per tutti gli utenti che afferiscono nei nostri ambulatori e ospedali. La ricerca povera ha anche una ricchezza nascosta. Si trasforma in gestione delle patologie territoriali,  qualità dei servizi,  pieno soddisfacimento dei bisogni dell’utenza.

 

Alle parole devono seguire i fatti, ponendosi degli obiettivi raggiungibili, per non incorrere in facili criticità.  Creare una comunità scientifica di qualità che richiami ricercatori anche da altre sedi. Carriere definite e certe. Dedicarsi alla ricerca non dovrà generare il dubbio della sopravvivenza. Maggiore integrazione Ospedale –  Territorio – Centri di Riferimento.

Per raggiungere questi obiettivi bisogna avere il coraggio di investire sui giovani. La scuola ed ancor peggio l’attuale Università, rimangono lontane dalla realtà. Nozionismo, programmi obsoleti, frammentarietà di corsi, difficoltà continue didattiche e burocratiche, strenua difesa del nepotismo ed apparente rigore solo su chi è debole, lo studente. A quest’ultimo si chiede molto in termini quantitativi e qualitativi, generando illusione su un futuro che l’attuale realtà non mostra di essere roseo. Sicuramente d’importanza primaria sarà, per coloro che sono inseriti nel sistema, aggiornarsi continuamente e al meglio su novità, protocolli, linee-guida, conoscenza dei trattamenti in centri di eccellenza, per essere sempre più vicini alle nuove esigenze dei pazienti e per poter offrire le migliori e più moderne prestazioni. I fondi per la ricerca e sviluppo del meridione dovranno evitare la fuga delle risorse umane  e i viaggi della speranza.

 

La strategia vincente sarà  investire su quei giovani, preparati, pronti a sacrifici e rinunce, che vogliono fare ricerca scientifica. Le Regioni e lo Stato devono concretamente aiutare e valorizzare questo enorme patrimonio di risorse umane rappresentato dalla generazione sotto i 40 anni. I giovani italiani vogliono far ricerca (il 4% è rimasto in Italia, il 25% ha scelto la Gran Bretagna). Gli Istituti di Credito, commercializzando titoli spazzatura, hanno creato ricchezza in pochi, povertà in molti. L’appello è che invertano la tendenza con investimenti e finanziamenti su progetti di ricerca. Nel rinascimento l’arte, l’architettura erano finanziate da privati mecenati, dalla chiesa e dai locali istituti di depositi e crediti. Allora era una scommessa l’investimento sugli artisti e sugli architetti, oggi è nostro un patrimonio culturale unico al mondo. La genetica, l’astrofisica sono le attuali punte di diamante. Ambiente e medicina non dovranno essere da meno. Noi non dobbiamo aver paura della libertà dei ragazzi. I migliori dimostrano di saper gestire la loro indipendenza. La conclusione è dobbiamo recuperare la nostra antica capacità di attrazione culturale se non vogliamo diventare soltanto l’appendice turistica dell’Europa.

ricercatore

Bari 8/12/2008

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