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La medicina difensiva nella pratica clinica:impatto sociale ed economico

Secondo una storica definizione dell’Office of Technology Assessment, U.S. Congress, 1994, la Medicina Difensiva si verifica quando “i medici prescrivono test, procedure diagnostiche o visite, oppure evitano pazienti o trattamenti ad alto rischio”.

L’esponenziale aumento del contenzioso medico-legale, registrato nell’ultimo decennio, induce sempre più frequentemente i medici a una maggiore prescrizione di accertamenti clinici e strumentali finalizzati alla propria difesa legale, piuttosto che alla tutela della salute del paziente. Oltre 2/3 degli specialisti ammettono di ricorrere alla medicina difensiva per timore di denunce con conseguente inappropriatezza delle prescrizioni. Importanti sono le implicazioni economiche, sociali ed etiche. Scopo dell’atteggiamentodifensivo é quello di evitare costose richieste di risarcimento per sospetta negligenza.

Tale comportamento ha determinato negli ultimi anni una crescita imponente dei costiassicurativi e della spesa sanitaria, quest’ultima incrementata non solo per l’aumento dellerichieste di ricovero e di esami specialistici e strumentali, ma anche per l’aumento delleprescrizioni, sempre più costose, di farmaci.

 

Nell’ultimo anno si è stimato che tale porzione di spesa sanitaria nazionale abbia raggiuntoi 13 miliardi di euro, di cui 150 milioni per la sola farmaceutica, rappresentando pertantoun argomento di particolare interesse, in funzione della spending review necessaria alsuperamento dell’attuale crisi economica. Il 53% dei medici dichiara di prescriverefarmaci per ragioni di medicina difensiva e, mediamente, tali prescrizioni sono il 13% circa di tutto il monte prescrittivo, rappresentando circa il 10-17% della spesa farmaceutica globale annua.

 

Il 75,6% dei medici, prevalentemente di fascia d’età tra i trentacinque e quarantaquattro anni, dichiara di prescrivere visite specialistiche, esami strumentali e di laboratorio per ragioni di medicina difensiva e, mediamente, tali prescrizioni rappresentano il 22,6% circa di tutte le richieste. Anche sui ricoveri la medicina difensiva si appropria di un buon11%.

Le possibili soluzioni del problema non si limitano a una sempre più meditataapplicazione delle “linee guida” o dei protocolli. E’ necessario un diretto interventolegislativo per definire correttamente l’atto medico e il rinnovamento dei programmi diformazione psicologica, filosofica e storica del medico, favorendo così un migliore rapporto medico paziente, secondo i principi del codice deontologico.

Fonte: dal seminario di cardiologia forense. XXII Congresso Nazionale ANCE. Taormina 13 ottobre 2012

Cuore e sport

Sabato 14 aprile 2012 il cittadino italiano comune, la comunità scientifica e tutti gli operatori del mondo dello sport, calcio in particolare, tra incredulità e stupore, hanno percepito quanto sia imprevedibile, insufficiente ed effimera la sicurezza nell’ambito della pratica dell’attività sportiva. Tutti si sono chiesti come un giovane, un ragazzo di soli venticinque anni, un atleta professionista che riceve giudizi positivi d’idoneità nei numerosi controlli medici, cada al suolo e muore, in diretta televisiva, sebbene i soccorsi prestati.
Passato lo stupore, ascoltati i numerosi pareri di qualificati medici intervistati, specialisti in cardiologia e medicina dello sport, è necessario fare delle riflessioni affinché non risulti vana la morte di un ragazzo e che, quando saranno spente le luci della ribalta mediatica, non si cada nell’oblio o peggio nella rassegnazione della fatalità o della cattiva sorte.
La morte improvvisa, per la maggioranza dei casi secondaria a grave aritmia, tachicardia o fibrillazione ventricolare, è un’evenienza frequente, statisticamente ridotta in modo significativo negli ultimi decenni grazie all’invio precoce nell’ospedale, alle unità di terapia intensiva cardiologica, alle tecniche di rianimazione e di emodinamica interventista. Ridotta la mortalità intraospedaliera molto resta da fare nella fase precedente al ricovero e sul territorio.
Una morte improvvisa di origine cardiaca è anche mentalmente accettabile nell’adulto, in coloro che hanno fattori di rischio coronarico, ma mai sarà accettata nel giovane ed in modo particolare in chi pratica attività sportiva agonistica. Lo sportivo è, per luogo comune, identificabile in un soggetto esente da patologie, e specie nel mondo del calcio professionistico, rappresenta un’icona di bellezza, forza e successo. Nello sportivo vediamo solo gli aspetti positivi che spesso invidiamo.  Il vero tifoso è portato a mettere sul podio l’atleta e lo vuole vedere sempre forte e vittorioso. Non ci scandalizziamo della corruzione del politico mentre condanniamo tutte le forme di corruzione degli operatori sportivi. Accettiamo la malattia o l’evento avverso nella vita normale, mai nello sport.
L’Italia dal 1982 si è dotata di una legislazione per l’attribuzione dell’idoneità sportiva per chi pratica attività sportiva agonistica. Esiste un obbligo di certificazione, con validità annuale, che prevede protocolli diagnostici specifici per il tipo di sport praticato. I presidenti delle società sportive sono tenuti all’obbligo di far sottoporre gli atleti, all’atto del tesseramento, ai giudizi d’idoneità. Oltre ai medici certificatori le società devono affidare la salute degli atleti ai medici sociali. Questa potrebbe già essere la prima criticità. Mentre i medici certificatori sono esclusivamente specialisti in Medicina dello sport, molti dei quali sono supportati anche da cardiologi esperti in cardiologia dello sport, i medici delle società non sono necessariamente specialisti del settore. Purtroppo, specie al Sud, l’inosservanza di tale obbligatorietà rappresenta circa il 50% dei tesserati nelle società sportive.
Se la legislazione è rigorosa nel campo dell’agonismo, nella grande fascia degli amatoriali, dei non agonisti, che rappresenta la maggioranza, la certificazione, quando richiesta, è affidata al medico di famiglia o di fiducia. Tale certificazione è, nella maggioranza dei casi, rilasciata senza l’esecuzione di alcuna diagnostica di base, per esempio, un elettrocardiogramma. L’esercizio fisico ha permesso una riduzione della morte improvvisa di circa il 90% tra gli atleti, mentre è rimasta invariata, un caso su mille, in chi non pratica sport. L’introduzione dell’obbligo dell’esecuzione dell’ECG ha portato una riduzione del 50% di morte improvvisa nei giovani.  In un mondo di ipertecnologia basta la visita clinica e l’elettrocardiografia? Questa è stato l’argomento di numerosi dibattici. La risposta è che sono indispensabili in un’applicazione di massa.
L’anamnesi è importantissima, specie quella familiare, per mettere a fuoco casi di morti improvvise o in giovane età, nei parenti diretti. L’anamnesi personale per la malattia reumatica. Un esame clinico accurato può evidenziare patologie sistemiche nelle quali si associano malformazioni cardiache, per esempio la sindrome di Marfan o di Ehler-Danlos. Un’accurata auscultazione cardiaca permette di diagnosticare patologie a carico delle strutture valvolari. Anche il sospetto di miocarditi o pericarditi non sfugge al clinico esperto. Il semplice ECG di base ci indirizza in malattie che sono causa di morte improvvisa come la preeccitazione ventricolare e le canalopatie, tipo la sindrome di Brugada, la sindrome del QT lungo o del QT corto. Il Prof. Richard Langhendorf, negli anni settanta, faceva ricerca, scriveva libri e diagnosticava aritmie complesse leggendo l’elettrocardiogramma di base, servendosi di un righello e di un compasso.
La ricerca in questi anni ha fatto grandi progressi, grazie all’intelligenza ed alle capacità dei nostri ricercatori, nonostante le sempre continue riduzioni di fondi. Ma questo non basta. Dobbiamo investire nella ricerca e supportare adeguatamente i nostri validi ricercatori se vogliamo la ripresa dello stato. Cultura come volano di crescita. Nel nostro genoma, il nostro patrimonio genetico, sono scritte le cause delle malattie cardiovascolari che spesso sono alla base della morte improvvisa. La cardiologia è nella fase della ricerca ultrastrutturale e molecolare. Dobbiamo studiare i geni, gli alleli, i cromosomi umani. I test genetici devono essere più accessibili all’utenza potenziando i laboratori di genetica clinica. In Puglia non siamo messi beni. Esistono laboratori che sono centri di eccellenza per la mucoviscidosi, per le patologie emocoagulative, per la trisomia 21, ma non per la genetica cardiovascolare. In casi sospetti di Brugada o di altra canalopatie, di Displasia aritmogena a genitori giustamente preoccupati non resta altro che il solito viaggio della speranza a Milano, Pavia, Padova. La ricerca indirizzata alla genetica ed alla biodiversità permetterà di portare alla luce nuove patologie che sono spesso la causa di eventi avversi in cuori apparentemente sani.
Un corretto controllo di massa deve far indirizzare all’esecuzione di altre indagini di secondo livello. L’ecocardiogramma deve essere eseguito nei bambini e nei giovani. Almeno una volta nei primi dieci anni deve essere eseguito un ecocardiogramma, esame semplice ed incruento, per evidenziare patologie come il prolasso della mitrale, l’aorta biscuspide o la miocardiopatia ipertrofica. In chi è più avanti nell’età, negli amatoriali con più di trentacinque anni, sempre test da sforzo massimale al cicloergometro, indipendentemente se trattasi di sport agonistico o non agonistico.
Sarebbe auspicabile un maggior numero di centri pubblici di Medicina dello sport, ma l’attuale congiuntura economica non credo possa favorire scelte politiche in tal senso. Allora dovendo fare i conti con le scarse risorse potenziamo almeno quelli esistenti. E’ indispensabile la presenza dello specialista cardiologo che abbia competenza specifica. Il cardiologo dello sport deve avere esperienza clinica per assicurare l’appropriatezza prescrittiva delle indagini di approfondimento, senza mai cadere nella trappola della medicina difensiva. La competenza del cardiologo dello sport eviterà l’aumento dei costi di gestione e di esercizio delle unità operative, permetterà di avvicinarsi il più possibile ad uno standard di qualità, ai fini dell’emissione di un giudizio corretto circa lo stato di salute e dell’idoneità del cittadino atleta. Portare la certificazione a due anni in chi, per altri motivi, ha eseguito indagini cardiologiche di secondo livello, potrebbe far ridurre i costi sociali della visita di idoneità sportiva gratuita sino ai diciotto anni di età. Un ulteriore margine di qualità potrebbe essere dato dalla firma congiunta del cardiologo e del medico dello sport nel giudizio di idoneità.
L’attività sportiva da anni è considerata un farmaco, non a caso una task force formata dalle più importanti società scientifiche di cardiologia e medicina dello sport, ha pubblicato nel 2010 i protocolli della prescrizione dell’esercizio fisico nelle diverse patologie cardiovascolari e, come per tutti i farmaci, la prescrizione deve prevedere una giusta e personalizzata posologia.
L’eccesso può dare effetti tossici. Potremmo spiegarci anche così l’evento avverso da sport rapportandoci a quanto succede dopo un infarto del miocardio.
Il cuore colpito da infarto, cioè da necrosi di tessuto muscolare, comincia già dai primi giorni a rimodellarsi, adattando la sua geometria alla cicatrice connettivale che sostituisce il muscolo distrutto. Carichi di lavoro intensi, predisposizione individuale, ecco l’importanza della ricerca genetica e molecolare, alterando la geometria delle camere cardiache, gli spessori delle pareti e forse favorendo anche il processo di apoptosi, cioè di autodistruzione cellulare, possono creare delle zone “grilletto”, responsabili dell’insorgenza delle aritmie. Anche questa potrebbe essere causa di eventi avversi nello sport.
Qualcuno potrebbe chiedersi se anche l’infarto è una malattia genetica. Non è dimostrata l’esistenza di uno o più geni che sono responsabili direttamente dell’infarto. Esiste la predisposizione familiare, ma la genetica è responsabile della presenza dei fattori di rischio cardiovascolare tipo l’ipercolesterolemia etero ed omozigote, l’ipertensione arteriosa essenziale, le alterazioni delle lipoproteine e del fibrinogeno.
Altra questione è l’implementazione dell’uso del defibrillatore. La defibrillazione preospedaliera dovrà avere maggiore implementazione. Un defibrillatore semiautomatico deve essere presente nei luoghi affollati, dal cinema al supermercato ed in particolare, in tutte le sedi, dove si svolgono le gare e le manifestazioni sportive. L’80% delle morti improvvise, in ambito sportivo avviene durante la gara e non nell’allenamento, a dimostrazione del ruolo dello stress da competizione nella genesi delle aritmie pericolose. Una semplice manovra servirebbe a salvare la vita di un giovane. La defibrillazione non è detto che debba essere eseguita esclusivamente da un medico. Addestriamo un sempre maggior numero di operatori laici ed implementiamo anche il concetto di formazione ed addestramento periodico. I soggetti abilitati alla defibrillazione devono obbligatoriamente addestrarsi continuamente, magari frequentando le terapie intensive cardiologiche, proprio come i militari e gli operatori delle forze dell’ordine che periodicamente devono frequentare il poligono.  Si eviterebbero così le tensioni, i momenti di panico che un arresto cardiaco può determinare in chi è presente. La simulazione accademica non sarà mai uguale alla realtà. Cultura e formazione per il buon esito della catena della sopravvivenza in caso di arresto cardiaco.
Saggia è stata la decisione, non importa se da taluni contestata, di sospendere per una giornata le gare dei campionati di calcio. E’ servita per riflettere, per stimolare la classe medica a un maggiore rigore nei controlli, ai politici per investire nella ricerca e nella prevenzione, ai genitori dei piccoli atleti e a tutti coloro che praticano attività sportiva, indipendentemente da essere agonisti o non, ad una maggiore attenzione per la propria salute anche quando il Servizio Sanitario Nazionale non offre la gratuità di alcune prestazioni mediche. Solo così la morte che ha strappato la vita ad un giovane calciatore professionista il 14 aprile del 2012 non sarà stata vana.

Il simbolismo del logo nella comunicazione visiva

Complici la tranquillità ed il senso di benessere che provo nel mio studio, dopo una intensa giornata di lavoro, in una sera di ottobre, mentre al computer preparavo la relazione per un importante congresso “Baricardiologia 2010” organizzato dalla nostra cardiologia, per dare forse maggiore senso di appartenenza ed attaccamento alla struttura nella quale quotidianamente, ancora con immutata passione ed entusiasmo, svolgo il mio ruolo professionale, mi è scattata l’idea di realizzare un’immagine simbolica, tipo crest militare o stemma, capace di richiamare immediatamente alla mente, con precisione ed immediatezza, il significato di una specifica attività professionale nel contesto del mio gruppo di lavoro. Trasmesso immediatamente, grazie al social network più usato, ad un collega, il dott. Sebastiano Cascella, il mio entusiasmo, in pochi minuti la bozza di un progetto di comunicazione visiva cominciava a prendere corpo. La fantasia, il vissuto ed il bagaglio di esperienze sono stati i veri artefici di questo logo che mi affretto a spiegare affinché il messaggio visivo possa avere un vero effetto comunicativo.
Le due U.O.C. di cardiologia ospedaliera e d’urgenza, come da previsione di un riordino aziendale, si fondano pur mantenendo le specifiche identità funzionali. Dalla fusione nasce una grande unità operativa complessa sotto un’unica direzione. La A bianca, che fuoriesce dal cuore in primo piano, rappresenta la struttura ambulatoriale, A come ambulatorio. Favorevole è anche la coincidenza della A con l’iniziale dell’attuale direttore, che è a capo di questa nuova realtà ospedaliera. Ancora A come autonomia che, pur nella subordinazione, abbia valore propositivo ed organizzativo, sempre integrata in un progetto corale dipartimentale, al fine di meglio valorizzare le risorse umane e di quella parte della dirigenza alla quale per anni è stata negata la possibilità di evidenziare le personali capacità.
A ogni singola struttura è stato attribuito un valore cromatico. Vediamo il significato dei colori. Forte richiamo all’identità nazionale, anche, in questo caso, la coincidenza dell’elaborazione del simbolo con la ricorrenza dei 150 anni dell’unità d’Italia. I colori sono quelli della bandiera ma vogliono essere portatori anche di altri messaggi. Il verde rappresenta l’ulivo, la pianta simbolo della nostra terra ed il suo prodotto, l’olio, che tanto giova al cuore. Il cuore verde corrisponde alla cardiologia d’urgenza, quindi la vitalità, considerata anche l’età più giovanile degli operatori in quell’unità, la speranza per il paziente che ricevere le prime cure. Il cuore rosso s’identifica con la cardiologia ospedaliera. Rosso come il sangue e come simbolo del coraggio del personale tutto che opera anche in situazioni estreme, spesso di disagio e di stress. Il bianco per la saggezza, maturità, necessarie e richieste, a chi quotidianamente, nell’esercizio dell’attività ambulatoriale evitata da molti perché dedicata prevalentemente a valutazioni preoperatorie ad alta valenza medicolegale, deve affrontare e risolvere situazioni delicate per i pazienti e per se stesso.
La cardiologia è inserita in un contesto aziendale globale. Ecco quindi i riferimenti all’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico di Bari.
Il crest militare o lo stemma sono sempre posti su un supporto raffigurante lo scudo. Il nostro lavoro non deve avere nulla di militare o bellico, anzi tutte le nostre capacità non devono essere disperse ma rinchiuse in una forma geometrica pura, perfetta ed ugualitaria come è il cerchio.
Infine il motto della struttura ambulatoriale. Due semplici verbi latini, all’infinito per non dare un limite temporale, uniti dalla congiunzione. Adiuvare, offrire aiuto e soccorso, valere, evidenziare capacità, professionalità, efficienza. La congiunzione “et” per rendere il tutto inscindibile e paritario.
A chi chiede lo scopo di questo lavoro voglio rispondere che l’obiettivo è formare un gruppo valorizzando le capacità singole. Condividere il messaggio comunicativo del simbolo per essere fieri dell’appartenenza a quella specifica Unità Operativa  e per sviluppare un clima di rispetto, solidarietà e serenità lavorativa. Fare non solo squadra per “adiuvare et valere” chi richiede la nostra opera, ma anche fare orchestra per  migliorare se stessi.

 

15.01.2011

Medicina dello Sport ponte tra Territorio ed Università

RISCHIO PROFESSIONALE PER IL MEDICO CERTIFICATORE ED IL MEDICO SOCIALE

 

 

 

Hotel Palace, Bari, 12/06/2010

 

 

 

La Legge del 18/02/1982 che prevede l’obbligatorietà della visita medica per la partecipazione a qualsiasi attività di tipo agonistico già poneva storicamente il nostro Paese all’avanguardia in Europa nella tutela sanitaria dello sport agonistico.

 

 

Con tale normativa il medico specialista in Medicina dello Sport nell’atto della compilazione di un certificato di idoneità sportiva agonistica (in media della durata di un anno) si assume la responsabilità medico-legale dello stato di salute dell’atleta,  attuale e sino alla data di scadenza della certificazione stessa. Il giudizio di idoneità nasce pertanto da una collaborazione interdisciplinare, quasi collegiale, dove certamente appare rilevante la competenza cardiologica. L’atleta, per ottenere il giudizio di idoneità, segue percorsi diagnostici standard (ECG di base e da sforzo, spirometria…) che per alcuni sport prevedono ulteriori indagini (esame audiometrico negli sport subacquei, visita neurologica + EEG negli sport motoristici, TAC celebrale nel pugilato dopo KO); ovviamente, se nel corso dei protocolli diagnostici si evidenziano talune anomalie per es. cardiologiche, sono previste ulteriori indagini di secondo livello (Ecocardiogramma) e di terzo livello (indagini emodinamiche ed elettrofisiologiche).

 

Certamente oggi, con  l’assenza di una medicina scolastica e dellavisita militare obbligatoria per il servizio di leva, la medicina dello sport assume un ruolo preminente nella prevenzione primaria sul territorio. Tale ruolo viene svolto anche per gli over 35-40 e per tutti gli atleti amatoriali in genere, soprattutto per coloro che dopo una vita sedentaria si improvvisano maratoneti. Anche la certificazione di idoneità sportiva non agonistica, demandata ai medici di base, dovrebbe comunque anche essere supportata da opportune indagini diagnostiche.

Altrettanto rilevante appare il ruolo del medico sociale che pur non entrando in merito al giudizio di idoneità sportiva agonistica, certificazione che viene rilasciata nei Centri CONI e nei Centri di Medicina Sportiva territoriali o aziendali, è responsabile dello stato di salute e dell’integrità fisica del team sportivo sia nell’allenamento che durante la gara (ci sembra opportuno ricordare a tale proposito come sarebbe auspicabile nel corso di ogni evento sportivo la disponibilità di un defibrillatore, già in dotazione alle forze dell’ordine, e di operatori sanitari esperti in tecniche di rianimazione). Si richiedono oggi al medico sociale anche competenze specifiche in diverse discipline, dalla dietologia alla psicologia, ed una valutazione attenta sull’equilibrio psico-fisico dell’atleta nella modulazione degli allenamenti e nella partecipazione alla gara; spesso infatti, per meri aspetti economici, chi gareggia  è portato a sottovalutare o ad occultare sintomi che possono essere espressione di patologie in atto.

 

 

 

In questo quadro un ruolo fondamentale è certamente quello svolto dall’Università che è sempre stata storicamente vicina al mondo dello Sport e non solo universitario.

La nostra Istituzione interviene oggi nella formazione degli specialisti in Medicina dello Sport valorizzando ed incrementando competenze sempre più specifiche e nella formazione degli studenti dei corsi di laurea in Scienze Motorie rappresentando questi i futuri quadri dirigenziali sportivi (allenatori, preparatori tecnici).

 

 

 

 

Particolarmente sentita è poi l’esigenza di proporre Master  e Corsi di Perfezionamento in Cardiologia e Medicina dello Sport dando contestualmente anche un maggiore impulso alla ricerca nei Centri Universitari Sportivi,  dove sono prevalentemente collocati sul territorio nazionale i Corsi di laurea in scienze Motorie.

 

 

Potrebbero in tal modo essere per esempio più opportunamente studiati gli aspetti ergonomici di tutti i gesti atletici e, nel settore  biomeccanico, i materiali sportivi, dall’abbigliamento alle attrezzature.

* Prof. Corrado Petrocelli Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Bari

 

* Dott. Riccardo Guglielmi Responsabile Cardiologia dello Sport Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Bari

Essere medico nel corso della crisi finanziaria planetaria.

La crisi finanziaria, ormai in atto, non riguarda solo i paesi in via di sviluppo ma tutto il pianeta per la globalizzazione dei mercati. Paradossalmente è cominciata proprio negli stati che per storia, per tradizione, per risorse accumulate, sembravano esserne immuni. Le economie più giovani, proprio di quei paesi che sino a pochi anni orsono erano lontani dal benessere occidentale, si stanno prodigando per non far crollare gli stati in crisi, non certo per carità cristiana, ma per limitare i danni al proprio sistema economico e non essere trascinati nuovamente nell’abisso della povertà. Quando c’è stata crisi economica si è sempre intervenuto nel ridurre la spesa previdenziale ed assistenziale, con conseguenze negative sulla salute.
Un recente report dell’OMS, pubblicato a gennaio 2009, affronta il tema della crisi economica e finanziaria mondiale e il potenziale impatto negativo sulla spesa sanitaria, sull’organizzazione dei sistemi sanitari, sui modelli di stile di vita ed in ultima analisi sugli esiti sanitari in maniera diversa dal passato. Con grande stupore sono proposti investimenti sul “sistema salute” ed una attenta vigilanza per cogliere la comparsa di eventuali segni premonitori negativi. Tutti i paesi del mondo, ma alcuni in particolare, quelli poco abituati ai sacrifici, risentiranno di questa preoccupante situazione, esponendo a rischio le popolazioni più vulnerabili ed incrementando il fenomeno della povertà. La povertà, io credo, è il fattore di rischio più significativo per l’insorgenza, lo sviluppo e la diffusione delle malattie, anche se non è scritto nei sacri testi scientifici. Qualcuno direbbe che con la povertà diminuiscono le malattie cardiovascolari. Nel passato era così, ma il presente dimostra che, se le risorse familiari sono poche, diminuisce la qualità dei cibi, vi è un minore consumo di frutta e verdura, aumenta l’assunzione di cibi a poco prezzo ricchi di grassi saturi, aumenta il consumo di alcolici e tabacco. Negli USA l’obesità è la caratteristica delle classi più povere. Tutto questo per auspicare un forte senso di solidarietà tra istituzioni politiche/governi e società civile e cittadini tutti. Solidarietà come vera arma vincente. Solidarietà non come pacca sulla spalla ma come messa in campo di risorse vere.
Contrariamente a quanto è avvenuto in occasione di passate crisi economiche, la proposta è di incrementare il budget destinato alla salute, investimento che è stato dimostrato indurre significativi benefici economici. Naturalmente la spesa sanitaria deve orientarsi a una maggiore efficacia ed efficienza, specialmente nel settore pubblico, sottoposto in queste circostanze a una maggiore domanda.
Le aree di intervento per limitare le conseguenze sulla salute, proposte dal report dell’OMS, sono cinque:
1. leadership: le autorità nel settore della salute, a livello nazionale e nelle regioni, debbono farsi carico di queste problematiche
2. monitoraggio dei dati informativi e loro analisi: questo rappresenta un punto fondamentale per affrontare con razionalità e cognizione di causa i problemi emergenti (in particolare, costi e accessibilità ai farmaci)
3. aumento della spesa pubblica, per far fronte ai fenomeni di povertà e migliorare lo stato di salute
4. equità di accesso ai sistemi sanitari, solidarietà e universalità, intesi quali ‘valori base’ su cui vigilare
5. ottimizzazione della spesa sanitaria, evitando sprechi e duplicazioni, migliorando le sinergie, investendo in misure preventive. Il dibattito è appena iniziato, ma il livello di attenzione a queste tematiche non potrà che aumentare nei prossimi mesi anche nel nostro paese.

Solidarietà, umanità, gestione oculata delle poche risorse a disposizione con attenzione al risparmio sulla spesa farmaceutica, sulla diagnostica e sulle ospedalizzazioni. Meno tecnologia ma più semeiotica e clinica. Rigore ed etica nel saper ridurre la richiesta dell’utenza. Questi saranno i principi a cui dovrà ispirarsi il medico nel periodo della crisi finanziaria planetaria a cui stiamo andando incontro.

Riferimento (The financial crisis and global health. Report of World Health Organization. 19 January 2009)

Bari 21/03/09
Riccardo Guglielmi