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Carte tante, tempo poco: costi amministrativi alti. Preoccupante segnale di Monti

Carte tante, tempo poco: costi amministrativi alti.
Preoccupante segnale di Monti
di Riccardo Guglielmi

Bari, 7 dicembre 2012
L’attività amministrativa sanitaria negli U.S.A. costa troppo e i medici hanno meno tempo da dedicare ai pazienti. Queste sono le conclusioni della ricerca del dott. D. Cutler e dei suoi collaboratori recentemente pubblicate nella rivista New England Journal of  Medicine.
Ogni medico americano impiega più di quarantatre minuti al giorno del proprio lavoro per una serie di adempimenti amministrativi, piani di cura, autorizzazioni alle procedure sanitarie, codifica delle attività cliniche e obblighi contabili per i rimborsi.  Questa quantità di tempo, sottratta all’assistenza e alla cura dei pazienti, è uno degli aspetti più frustranti della moderna medicina. I soli costi amministrativi della sanità negli U.S.A. si aggirano sui 350 miliardi di dollari l’anno, il doppio di quanto è speso per le malattie cardiovascolari e il triplo per le patologie oncologiche.  Si possono e si devono ridurre tali voci di spesa con una maggiore semplificazione delle procedure amministrative, con il capillare impiego dell’informatica e con la possibilità che i flussi di dati possano integrarsi tra loro grazie a database comuni in tutti gli stati…….

Automatizzazione, standardizzazione e flessibilità sono i rimedi per ridurre i tempi del data-entry, aumentare la produttività, ridurre le spese e migliorare la qualità del lavoro. Naturalmente nessuna differenza tra pubblico e privato. Bisogna ridurre la divergenza tra componente sanitaria e amministrativa in termini di approccio alla registrazione, alla raccolta e all’elaborazione dei dati.
I sistemi sanitari di tutto i paesi consumano ogni giorno un numero sempre maggiore di risorse. Non potranno essere accettate procedure diagnostiche e terapeutiche inappropriate. Sono necessari nuovi indicatori di appropriatezza prescrittiva.  Maggiori informazioni cliniche per far meno uso di tecnologia. In sanità qualsiasi novità tecnologica, a differenza dell’industria, non abbassa i costi, anzi li aumenta.
In Italia la situazione non è da meno anzi sembra, secondo visione ed esperienza personale, più drammatica. Medici di base e ospedalieri spendono più dei quarantatre minuti giornalieri dei colleghi americani per le attività amministrative. Ogni giorno una nuova norma, anche con differenze tra regione e regione. Note sui farmaci, piani terapeutici, vincoli, segnalazioni via internet, elaborazione dati, invio certificati, compilazione di schede aggiuntive alla tradizionale cartella clinica sono diventati adempimenti obbligatori nella pratica professionale. La mancata informatizzazione che, quando presente, è spesso inefficace, sottrae sempre maggiore tempo da destinare all’assistenza, favorendo medicina difensiva e maggiore rischio clinico. E’ proprio di pochi giorni orsono il secondo avvertimento del Presidente del Consiglio. Il nostro Sistema Sanitario Nazionale o cambia rotta, dotandosi di nuove regole di finanziamento e di adattamenti per meno sprechi, o, inevitabilmente, sarà a rischio crak a breve.
Facciamo tesoro di questa ricerca americana. I medici e gli utenti italiani invocano meno burocrazia, meno politica, meno potere amministrativo e più efficienza. La possibilità di semplificare la complessità amministrativa è molto ampia. I medici vogliono fare i medici, destinando più tempo per la cura del malato e meno per le scartoffie.

Il cuore potrebbe ripararsi con stesso meccanismo di pesci e salamadre

Annuncio rivoluzionario su “Nature”
Il cuore potrebbe ripararsi con stesso meccanismo di pesci e salamadre
di Riccardo Guglielmi

Bari, 7 dicembre 2012
A lezione da pesci e salamandre per curare il cuore malato
Nel futuro il nostro cuore, compromesso da malattie ed età, sarà “riparato” da microRna, con lo stesso meccanismo di pesci e salamandre.
Sono le conclusioni, pubblicate su “Nature”, di una lunga ricerca italiana coordinata Mauro Giacca, direttore dell’Icgeb, (Centro internazionale per l’ingegneria genetica e le biotecnologie) di Trieste, in collaborazione con il Centro cardiovascolare dell’Azienda ospedaliera universitaria cittadina.
Molecole di materiale genetico, microRna, scoperte dai ricercatori italiani, risvegliano nelle cellule cardiache, i cardiomiocti, per esempio dopo un infarto, il processo di riparazione dell’organo compromesso. E’ la riattivazione di una funzione persa alla nascita, nel corso dell’evoluzione, nei mammiferi, ma conservata nei pesci e nelle salamandre. Nella vita embrionale questi microRna sono attivi per la replicazione e la crescita delle cellule cardiache, la formazione e lo sviluppo del cuore. La loro espressione si spegne immediatamente dopo il parto.
La somministrazione di questi frammenti di materiale genetico o di nuovi farmaci, con le stesse proprietà, che nel futuro potrebbero essere prodotti, rimetterà in moto il processo riparativo e la replicazione dei cardiomiociti, senza bisogno di ricorrere al trapianto di cellule staminali. In natura salamandre e pesci sono capaci di “riparare” il cuore con lo stesso meccanismo.
Viviamo tempi di vera epidemia di malattie cardiovascolari. Nel mondo una persona su tre muore a causa di esse. Ogni anno 15 milioni di nuovi casi di scompenso cardiaco secondari, per l’80%, agli esiti di un infarto. Il 2% del Pil dei Paesi industrializzati va in fumo per ricoveri e cure.
Niente più esiti cicatriziali dopo un infarto, meno recidive, meno scompensi, meno angioplastiche, meno by-pass grazie a questa ricerca italiana.  Rendiamo il nostro cuore simile a quello dei pesci o delle salamandre e in cambio risparmio di risorse e maggiore qualità di vita per i cardiopatici.

Lo sport fa bene…ma il troppo sport può far male al cuore

E’ quanto affermato in uno studio eseguito da un gruppo di cardiologi del St. Luke’s American Heart Institute di Kansas City (Usa) e pubblicato sulla rivista scientifica ‘Heart’. Rischio ‘crack’ per il cuore se si corrono troppe maratone in un solo anno.
Esercizio fisico e sport determinano indiscutibili vantaggi sulla psiche e sul corpo. Migliora il tono osseo e muscolare, aumenta l’elasticità, la contrattilità cardiaca e la capacità respiratoria. Diminuisce il peso e la pressione arteriosa, se è associata una corretta alimentazione. Aumenta il tono dell’umore e l’autostima. Anche il sistema immunitario riceve vantaggi e di conseguenza maggiore resistenza alle malattie infettive e tumorali.
Tuttavia, come in tutte le cose, l’esagerazione crea danni, in modo particolare, sull’apparato cardiocircolatorio, la cui compromissione, spesso, può avere effetti drammatici.
Il cuore nelle prime fasi risponde con un aumento dei battiti cardiaci e con maggiore consumo di ossigeno, in seguito, se gli allenamenti sono eseguiti in modo corretto, la frequenza diminuisce e aumenta la contrattilità. Se si praticano allenamenti esagerati per intensità e durata, il cuore, come tutti i muscoli, aumenta lo spessore delle pareti e poi si dilata. Questi due ultimi adattamenti sono negativi per l’individuo. La pressione arteriosa aumenta, la contrattilità diminuisce, l’insufficiente apporto di sangue e ossigeno ai tessuti compromette la funzione degli organi, il sistema nervoso neurovegetativo si sbilancia. Insorgono le alterazioni del ritmo, le aritmie, alcune delle quali possono essere fatali. Sono avvertiti gli atleti fondisti amatoriali che con frequenze anche settimanali, si sottopongono notevoli sforzi in gare di lunga distanza, 20 e 40 Km.
Ogni cuore è diverso e “si adatta” in modo molto personale secondo età, l’alimentazione, la diversità di genere ma soprattutto secondo la genetica. Gli sforzi intensi e gli allenamenti esagerati possono aggravare, specie nei bambini delle piccole alterazioni congenite dell’apparato cardiovascolare, mentre negli adulti sono le malattie coronariche, infarto o angina, che presentano un rapporto diretto negativo con il troppo esercizio fisico. Quando si supera la frequenza cardiaca massimale, facilmente calcolabile con una semplice formula, il cuore scoppia. Controlliamo sempre il battito cardiaco e impariamo a sentire i messaggi che il nostro corpo ci manda, affaticamento, affanno, cardiopalmo, sudorazione.
In conclusione il cuore è progettato per sopportare solo sforzi di breve intensità. Sforzi intensi e duraturi favoriscono l’invecchiamento precoce dell’apparato cardiovascolare.  Facciamo sport a tutte le età ma con sicurezza, dopo una buona visita medica e sotto l’attento e professionale controllo di esperti seri e preparati. E per gli appassionati di maratona (42,195 km) … solo due l’anno.
Bari 5 dicembre 2012

Pillole e farmaci senza fantasia

Gli italiani preferiscono chiamare i propri farmaci con un nome. Per anni la nostra fantasia si è adoperata per etichettare un medicamento con un nome di semplice identificazione. Sinonimi di forza, spesso in latino, per i vitaminici, vezzeggiativi per gli antibiotici, diminuitivi o additivi per i dosaggi ridotti o potenziati ne hanno favorito il commercio e la vendita. Nomi tanto fantasiosi e facili da ricordare, usati spesso per l’autoprescrizione o il “fai da te”. E’ facile l’accostamento al “chiamami per nome e sarò il tuo farmaco”. Viviamo in recessione e anche la fantasia ne fa le spese.
Una recente ricerca del Censis, realizzata per Farmindustria sull’impatto della prescrizione con principio attivo sulla qualità delle cure, dimostra che il 57,6% degli italiani riconosce i farmaci che assume dal nome commerciale, solo il 7,6% tramite il nome del principio attivo e quasi il 35% attraverso entrambi. Vi è poca differenza percentuale tra giovani e anziani, genere, o nord e sud. Il nome commerciale è un importante fattore indicativo, anche se esiste la consapevolezza dell’esistenza di un farmaco equivalente, identificato con il nome della molecola, di costo inferiore. Gli anziani sono più informati sull’esistenza di farmaci a costo minore.
La certezza dell’identificazione induce il cittadino a pagare una piccola differenza per il farmaco “griffato”. Il 45% degli italiani, specie l’anziano o l’utente in pessimo stato di salute, preferisce pagare un ticket maggiorato e ricevere un farmaco di marca piuttosto che quello fornito dal Servizio Sanitario, con lo stesso principio attivo, ma a un costo inferiore. Oltre al nome, un importante aspetto identificativo è dato dalla forma e dai colori della confezione o della pillola.
Nel 30% del campione in generale e nel 39% degli anziani, è alto anche il rischio di confusione in caso di consegna, in farmacia, di un medicinale contenente lo stesso principio attivo ma con una confezione diversa o con un nome differente.
Rimane alta la fiducia del paziente nei riguardi del medico. Il cambiamento è accettato nel 61% se proposto dal medico di fiducia, mentre scende al 16% se il proponente è il farmacista, mentre il 22% è contrario a qualsiasi cambiamento. E’ il medico, l’unico garante del cambiamento.
Il 77,4% degli italiani dichiara di essere a conoscenza che il medico di famiglia deve indicare sulla ricetta il nome del principio attivo. Quasi il 63% è ben informato che, in caso di patologia cronica, il curante può continuare a prescrivere il farmaco con il nome commerciale. Sono più informati gli anziani rispetto ai giovani, le donne rispetto agli uomini. Il 66,7% dichiara di aver già sperimentato la modalità della prescrizione con principio attivo.
E’ avvertita da tutti un’eccessiva pressione economica, voluta dall’alto, sulle scelte prescrittive a causa delle manovre di bilancio. Oltre il 47% ritiene l’attività prescrittiva dei medici negli ultimi dodici – diciotto mesi, condizionata dal fattore economico, il 36,4% la ritiene inalterata, il 6,2% diminuita, mentre il 10% non ha opinioni al riguardo. D’altro canto, per il 77%, esiste l’esigenza di ridurre la spesa pubblica per i farmaci e il 61% ha avvertito un aumento della spesa di tasca propria per l’acquisto di farmaci.
L’uniformità della prescrizione, oltre alla perdita di posti di lavoro per gli addetti al settore, cozza con la consuetudine e la personalizzazione del rapporto dei cittadini con il farmaco. Siamo da sempre abituati a prendere una medicina, spesso quotidiana, resa riconoscibile dal nome commerciale, dalla confezione, dalla forma. Anche il colore ha la sua importanza. Infatti, basta dire la pillola blu e tutti capiscono di che si tratta.
Bari 2 dicembre 2012

Malasanità. Ma quanto mi costi

E’ quanto emerge dal rapporto dell’ANIA, l’associazione delle imprese assicuratrici, nel convegno svoltosi a Roma il 29 novembre.  34.000 denunce nel 2010, di cui circa 21.000 nei confronti delle strutture; costo medio dei sinistri pari a 28.000 euro, spesa globale, per gli accertati casi di malasanità, superiore al miliardo di euro da parte delle assicurazioni. Questa la fotografia dell’attuale italiana. Trend della raccolta premi in aumento, negli ultimi otto anni ha superato l’8%, ma per ogni 100 euro incassati il settore assicurativo ne ha speso quasi 160. Sono numeri che fanno prevedere un inasprimento delle condizioni contrattuali per gli assicurati.
Positive sembrano le proposte pratiche lanciate da Aldo Minucci, Presidente dell’ANIA: creazione di un organismo indipendente che rilevi e analizzi gli errori in medicina, maggiore ed efficace comunicazione medico-paziente, fondi pubblici che coprono “tipologie di rischi non assicurabili”.
Nei paesi scandinavi è operativo un sistema “no fault” in cui, in determinati casi, è previsto un indennizzo standard agli assicurati, senza la ricerca dell’attribuzione della colpa e delle cause che hanno prodotto l’evento avverso. L’adozione di procedure similari potrebbe arginare il ricorso alla medicina difensiva, che come spesso ricordato, incide per tredici miliardi l’anno sul capitolo della spesa sanitaria nazionale.
Fonte: Adnkronos Salute
Bari 1 dicembre 2012