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Primari a 70 anni? – da Stefano Biasioli

Nella giornata di venerdì si è diffusa in un battibaleno, nell’Italia sanitaria, una vocina, divenuta presto una vociona. Vocina e vociona riguardavano la notizia che un certo comma di un certo disegno di legge in discussione al Senato prevedeva che – in deroga a tutte le leggi precedenti – i “Primari” potessero andare in pensione a 70 anni. Di solito, l’Italia sanitaria è molto refrattaria alle notizie professionali, incluse quelle contrattuali e previdenziali. Ebbene, questa notizia si è diffusa in un lampo e – come è usuale nel gioco del telefono senza fili – è stata immediatamente e ripetutamente distorta. Il DDl si è così magicamente tramutato in Legge, in Legge esecutiva dal 20/12/08, in Legge intoccabile ed immodificabile, esattamente come le norme costituzionali. Ovvii gli effetti. In casa ANAAO (“è un disastro ideologico e sindacale…….”, Cavallero), in casa AOGOI, in casa ANPO (anzi ANPO-ASCOTI, anzi ASCOTI-ANPO, dato il peso reciproco delle 2 sigle, ora unite da un nuovo feeling), nelle case di qualche migliaio di “Primari” sessantasettenni, pensionandi a giorni od a mesi. Nell’errore è incorso anche qualche Direttore Generale Veneto (vicentino o patavino), che si è premurato di dire al “Primario amico”; “…..sei salvo, resti per altri 3 anni…”. Nella vecchia Italia, è stato un tripudio di “evviva” pronunciati da camici bianchi ultrasessantacinquenni, brizzolati, calvi o biancheggianti, tutti improvvisamente ringalluzziti. Un comma del Senato è stato più potente della famosa pillola blu. Peccato! Peccato, che la Leggenon fosse Legge. Peccato, che la Legge non fosse un Decreto Legge. Peccato che il grembiulino “lobbistico” (perché tale lo consideriamo, evitando con accuratezza un aggettivo ben più pesante!) abbia, per ora, posto solo una “pecetta” su un piccolo comma di un grosso disegno di legge, il cui iter parlamentare sarà ancora lungo, tormentato, tortuoso e, soprattutto, incerto. La realtà dice invece che, il 19/12/08, non è stata promulgata alcuna legge a valenza medica. C’è stata solo una piccola imboscata contro un carro armato gigantesco e super-potente. Per evitare equivoci, mettiamo le carte in tavola. 1°) È PROFONDAMENTE INGIUSTO che Magistrati e Professori Universitari possano lavorare ben oltre i 72 anni, mantenendo incarichi prestigiosi e ben remunerati …….e gli ALTRI, no. 2°) È PROFONDAMENTE INGIUSTO che decine di migliaia di medici dipendenti del SSN abbiano visto modificare significativamente le proprie prospettive professionali (cioè la possibilità di lavorare nel SSN fino a 67 anni, se lo volevano) per effetto di una legge (133/08) e di un articolo (71) che – d’imperio e senza un serio confronto con la categoria – bloccavano la carriera ai medici dipendenti di 58-62 anni, la cui sola colpa era quella di aver pagato “marchette” (contributi previdenziali) per 40 anni. Inclusi, udite-udite, quelli di studio universitario e specialistico, qualora riscattati. Udite, udite. Cornuti e mazziati. Prima lo Stato (INPDAP) ci ha indotto a riscattare gli anni di studio e poi lo stesso Stato (Governo Berlusconi) ci ha penalizzato per aver sborsato quei denari previdenziali. Stroncando la carriera di medici “non anziani” o ponendola in balia del signorotto di turno (il solito Direttore Generale). 3°) È PROFONDAMENTE INGIUSTO che, ora, Qualcuno tenti di sfuggire alle maglie della Legge 133, lasciando gli altri Colleghi nella melma, puzzolente. Chi tenta di uscire dallo stagno? Una figura che è scomparsa dal 1996: “IL PRIMARIO”. Un fantasma, quello primariale, che ha talmente turbato il sonno di alcuni senatori (“senatus, mala bestia!) da indurli a scrivere quel comma, salvifico per pochi ed ingiusto per moltissimi. Salvifico per pochi (1000-2000?) “primari” ultrasessantacinquenni….. anzi, non primari, ma “direttori di struttura complessa”….. 2000 over 65 “salvati” (potenzialmente salvati) mentre 30.000 over 60 (con 40 anni di contributi) vengono mandati al macero, fatta salva la grazia, implorata e gentilmente concessa, o negata, dal solito signorotto. Nessuna logica in tutto questo. Nessuna logica e nessuna grammatica. Nessuna logica, se non quella di ostacolare il fisiologico ricambio generazionale. Nessuna logica previdenziale: pensionamento precoce per 30.000 e pensionamento tardivo per 2000. Nessuna risposta logica ai “30.000 perché” dei 30.000 “non primari”. Nessuna logica professionale e nessuna logica previdenziale. Nessuna logica contrattuale se è vero, come è vero, che – dal 1996 – il “Primario” (= Direttore di struttura complessa = DSC = DUOC) è un dirigente con incarico a termine, quindi soggetto a valutazioni periodiche, con conseguente conferma o con traumatico effetto sulla carriera (pensionamento, recesso, retrocessione). Dal 1996, quindi, l’essere “primario” è un accidente professionale (in senso positivo) e non il frutto di un gene peculiare. Si tratta di un accidente o di un fattore recessivo, ben diverso – purtroppo – dai fattori dominanti che, da sempre, appartengono a Magistrati ed agli Universitari. Fuor di metafora. Qualcuno dovrebbe ricordare a SACCONI, a BRUNETTA ed al SENATO TUTTO che nella PA (pubblica amministrazione) non possono esserci (figli e figliastri. Nella PA le regole debbono essere uguali per tutti, nella loro formulazione e nella loro applicazione. Oggi, così non è ed è questo – caro Brunetta! – uno dei profondi mali della PA. Ovviamente, “il ministro” (m minuscola) non si se è accorto, preso com’è dal suo menar fendenti a casaccio e dal suo presenzialismo televisivo. “Il ministro” (m minuscola) non se ne è accorto: in questo è ben accompagnato da Tremonti, Sacconi, Gelmini, Calderoli e compagnia bella…… Nella PA, c’è già una bella quantità di “diversi”: magistrati ed universitari, ossia i depositari della giustizia assoluta e della scienza infallibile. Oggi, il Senato tenta di aumentare il numero dei “diversi”, aggiungendo a quelle 2 specie rare un’altra sottospecie: quella “dei Primari”. “Primari o primati” ? “Primari centenari?” Comunque sia, una sottospecie in estinzione, da trattare con cura, come una montagna d’oro. Da trattare con cura e da porre con cura nella famosa caverna dei 40 ladroni, assieme ai magistrati ed agli universitari. Conosciamo la favola. I 40 ladroni accumulavano nella grotta gemme ed oro e proteggevano il tesoro con formule magiche. Ma il povero Alì Babà riuscì ad uccidere i 40 ed a diventare ricco. Magistrati, universitari e “primari” sono (purtroppo per loro!) fatti di ottone e non di oro. I 40 ladroni non se ne sono accorti ma sono comunque colpevoli perché hanno rubato l’ottone, riponendolo nella grotta. Quei 40 sono, comunque, ladri. Ma devono stare bene attenti….. perché Alì è fuori dalla grotta, in vigile attesa. Il finale, però, non è scontato….. Lo so, vorreste conoscere il nome dei ladroni contemporanei e quello dell’Alì contemporaneo. Ve li riveleremo tra qualche mese…. Nel frattempo ci daremo da fare perché quel famoso comma oggetto di questo editoriale venga cancellato dal disegno di legge in questione, già nel prossimo viaggio alla Camera. UNICUIQUE SUUM!

di Stefano Biasioli

http://www.cimoasmd.it/popup.asp?ID=2957&tipo=Approfondimenti

 

Anch’io voglio dire la mia e divertirmi a scrivere:      Giovani fuori.Vecchi dentro 

Potenza della comunicazione

 

Una notizia dell’ADNKRONOS SALUTE del 19/12/08 ha ridato vitalità ad un migliaio di irriducibili combattenti per il diritto al mantenimento del potere “usque ad mortem”. In una società dove i “giovani” ormai cinquantenni, laureati, “masterizzati”, professionalmente capaci, vivono all’insegna del precariato, dell’incerto, dell’insicurezza delle carriere, ecco ricomparire la lobby dei primari ospedalieri, ultimi discepoli del CapitanoWilliam Bligh, il comandante del Bounty, che, con un colpo di mano, riesce a convincere “ignari” senatori a far estendere l’esclusione dei magistrati e dei docenti universitari, alle norme contenute all’art. 72, comma 11, decreto legge n°112 del 25/06/08, confermando il detto latino “senatores boni viri, senatus mala bestia”. Naturalmente l’italica intelligenza ha visto ben oltre la semplice rivisitazione di un comma di legge. La raggiunta vicinanza della categoria del primario ospedaliero, separata solo da una virgola nel comma di legge, da quella dei magistrati e dei docenti universitari, ha fatto intravedere il raggiungimento di un antico sogno, l’equiparazione e, per immediata conseguenza, il pensionamento a 70 anni. Con il passare delle ore i più ambiziosi, meditando sull’equiparazione, si sono visti negli anfiteatri universitari a far lezione e persino erogatori nelle corsie, spero no nei tribunali, di una giustizia sanitaria da somministrare ai loro subordinati. Brindisi, evviva, ip ip urrà, vittoria, forse qualche nostalgico Eia alala’, ed un comma del senato ha avuto più effetto della famosa pillola blu. Ultrasessantacinquenni, già pronti alla richiesta dell’indennità di accompagnamento, si sono sentiti rinati e pronti a nuove battaglie sanitarie. Famiglie in estasi, mogli e figli sono riusciti ad ottenere la promessa di fantastici regali natalizi. Nelle agenzie di viaggi un’improvvisa richiesta di crociere e vacanze sulla neve, data la vicinanza con la pausa completa natalizia, concessa solo al loro status. Speriamo che questo consumismo almeno abbia dato fiato alla nostra economia. La realtà non è assolutamente questa, allo stato attuale, anche se questa imboscata può essere paragonata ad un tentativo di truppe scelte pronte ad infiltrarsi in territorio nemico, in previsione, a quanto pare, di un prossimo disegno di legge più articolato e completo. Purtroppo questa variazione dell’articolo, se non sarà meglio esaminata dalla camera dei deputati, produrrà delle profonde ingiustizie proprio nei riguardi dei colleghi più giovani, che, a questo punto, sembrano essere figli di un dio minore.

 

Lasciando ad altri qualsiasi ulteriore commento faceto è necessario riflettere su quanto di negativo potrebbe determinare un’apparente banale correzione del comma di legge in questione.

 

Ciò che subito emerge è una profonda ingiustizia. Universitari e Magistrati sono accumunati nello stesso provvedimento, non si parla di Presidenti di Corti, professori ordinari, ma di tutti i magistrati, dagli uditori ai presidenti di tribunale, e di tutti i docenti universitari, dai ricercatori ai rettori. Perché allora, se si vuole cambiare un comma di legge, inserire solo i primari ospedalieri e non tutti i medici dirigenti di primo e secondo livello. Il primario diventa intoccabile al compimento del 40esimo anno di contribuzione, l’aiuto può aspettarsi da un momento all’altro un provvedimento amministrativo di benservito. Un dipendente più giovane esce dal mondo del lavoro, uno più anziano resta stabilmente al proprio posto. Tutte queste argomentazioni fanno pensare ad una lobby di irriducibili ancorati solo al mantenimento del potere personale, senza alcun riguardo per i propri collaboratori. Non è la difesa della categoria ma solo quella di una casta che, nella logica di essere indispensabile ed insostituibile, è solo desiderosa di mantenere dei privilegi medioevali.

 

Una considerazione più sottile, ma forse più amara, non perché pensata da chi scrive, è la seguente. Il primario è naturalmente più vicino ad un direttore generale ed è facile pensare, quale occasione più ghiotta, per favorire l’uscita di un collaboratore, forse un po’ scomodo, ma che si trova ad aver compiuto i 40 anni di contribuzione dopo aver riscattato, non certo senza spese, anni di laurea, specializzazione, servizio militare. Passato qualche mese, per ritrovate esigenze di servizio, ecco, magari favorire l’ingresso, sfruttando anche la mobilità, di qualche collega da inquadrare meglio.

 

Sul piano politico ogni onorevole deve considerare che un tale provvedimento forse favorirebbe un centinaio di figure professionali, ma ne sfavorirebbe trentamila. E quale risparmio potrebbe determinare, ci domandiamo ancora. Si risparmierà qualche pensione, ma si mantengono inalterati gli stipendi, anzi con ulteriori aggravi, degli apicali. Come si potrà articolare nel futuro la logica di una vera Struttura Dipartimentale con Unità Semplici, più snelle, veramente autonome nella gestione e di costo inferiore.

 

Esaminiamo adesso la tendenza al mantenimento, con un più articolato disegno di legge, dei primari in servizio oltre i 67 anni e forse nel futuro a qualcosa di più, “sino a che morte non ci separi” come nelle monarchie o nel papato. E’ scritto con termini molto alati che il provvedimento avrebbe lo scopo di non disperdere un bagaglio di esperienze professionali maturate in tanti anni. Bene allora perché non pensare che esiste una categoria di medici cinquantenni che da anni subisce inerme tanti soprusi, come l’annullamento dell’Idoneità Nazionale a Primario, ottenuta a prezzo di grossi sacrifici in termini di studio e tempo. Esiste una fascia di medici ospedalieri che assistono impotenti al conferimento di incarichi e valutazioni assegnate, con regole feudali, solo su concessione personale del primario, che vedono vanificarsi quanto nel passato hanno effettuato, medici che partecipano, senza troppe speranze, a concorsi, nei cui dettagli è meglio non addentrarsi. Medici che nei Policlinici a valenza universitaria sono scippati di incarichi importanti che restano di esclusivo appannaggio della componente universitaria e sono, di fatto, considerati di serie B, con la stessa differenza che nelle forze armate esiste tra un ufficiale di complemento ed uno di accademia. Tutti questi medici ospedalieri, che da anni sperano in atti di giustizia, dovrebbero aspettare, alla sospirata vigilia di un forse meritato riconoscimento di carriera, per un improvviso cambiamento delle regole, altri tre anni e forse il tempo necessario affinché i figli d’arte possano maturare i titoli idonei per aspirare ad incarichi superiori.

 

Chi scrive non ha volontà distruttiva, ma al contrario propositiva. Sarebbe un danno sociale e morale ragionare in modo giacobino. Esistono innegabilmente delle risorse nei colleghi più anziani che non devono essere sprecate. Quanti di noi clinici o chirurghi non si sono rivolti al maestro, anche ultrasettantenne, per consigli, pareri, consulenza davanti a casi irrisolvibili.

Per i meritevoli, pochi o molti che siano, superato il limite massimo del 67° anno, si può prevedere un ruolo d’onore con compiti di insegnamento, progettazione, direzione sanitaria, consulenza tecnica nelle commissioni, nel consiglio superiore della sanità, ma non operativo sul campo. Il campo di battaglia quotidiano deve essere di appannaggio dei più giovani proprio per una migliore razionalizzazione delle risorse umane. E se l’ospedale è diventato un campo di battaglia perché non pensare anche in termini militari. Il comando di strutture complesse, battaglioni, reggimenti è ben regolamentato, sin dalla formazione degli eserciti, a tempo. Un comandante anche se bravo, terminato il periodo di comando, al massimo rinnovabile per un solo altro periodo ( 2-4 anni in tutto) deve far spazio a chi ha maturato i titoli e le valutazioni idonee per quell’incarico, ma non è certo rimosso. Sarà impiegato, sino al limite dell’età pensionabile e non certo oltre, a svolgere altri più impegnativi e prestigiosi compiti. Il nuovo comandante, forse sarà meno o più bravo del predecessore, forse sarà animato da nuove idee, forse vedrà nel precedente un modello da migliorare per ottenere ulteriori e forse più prestigiosi obiettivi, ma indubbiamente determinerà un cambiamento generazionale che porterà nuova linfa al processo evolutivo, con grande vantaggio dell’ente di appartenenza e, rapportato lo stesso concetto in ambito sanitario, dell’utenza che, giorno per giorno, esprime molte criticità sugli attuali modelli di gestione. Finalmente si darebbe spazio ad una generazione che ha voglia di esprimersi. Le Aziende Ospedaliere dirette da Direttori Generali più giovani raggiungono e soprattutto mantengono  livelli di eccellenza.

Questa è la legge dell’evoluzione e mi meraviglio che una classe di medici non l’abbia mai approfondita. Eviteremo così l’assurdità di un provvedimento. Vecchi dentro, giovani fuori.

 

Riccardo Guglielmi 

PS Lo spazio aperto è libero. Chiunque ha la possibilità di rispondere, contestare, criticare o approvare. Ogni commento, firmato o proveniente da fonte certa, sarà inserito in queste pagine elettroniche, ad eccezione di chi nega l’autorizzazione. Sarà rispettata la volontà di chi vorrà rimanere anonimo.

 

Desidero esprimere il mio parere su quanto esposto dal collega Riccardo
Guglielmi,nella comunicazione “Giovani fuori e vecchi dentro” ……….Tutto ciò,forse,servirebbe per risparmiare qualche pensione ma nello stesso tempo favorirebbeil permanere delle regole feudali che prevedono il conferimento di incarichi,solo su concessione del primario, anche se molti medici continuerebbero apartecipare a concorsi senza speranza,a subire sopprusi e ad indossare ilParaocchi perchè non si tengono presenti,ancora,come sempre,i loro sacrifici intermini di studio e tempo.Tutto ciò mi rende perfettamente concorde su quanto
descritto dal collega Riccardo Gugliemi perchè il Paraocchi non dovrebbero
applicarselo i colleghi meritevoli perchè ce l’hanno già coloro che hanno
voluto legiferare in materia,forse per una mera svista,favorendo una
piccolissima parte di medici e non la stragrande maggioranza.

Dott.Salvatore Rutigliano
Medico chirurgo-odontoiatra
V.le Di Vittorio 55
70125 Bari
tel.080/5574174
salvatorerutigliano@libero.it

 

 

…ho letto con piacere la tua opinione in merito a “giovani fuori vecchi dentro”, complimenti sono pienamente d’accordo con te anche se sono una al di fuori dell’ambito medico. Penso che ci dovrebbero essere non una ma centomila di persone come te che denunciano queste prese di potere a discapito di menti e collaboratori in grado di subentrare nei tempi giusti a questo battaglione di vecchi commilitoni che non cedono le loro stellette ossidate nel tempo per quelle nuove nuove e lucenti, insomma basta.. largo ai “giovani”  meritevoli quanto loro quando erano giovani..

Armanda ….

 

Siamo di fronte ad un gruppo ben organizzato,che nel tempo ha indiscutibilmente saputo farci.C’é una strategia ben definita di rivoltare tutto con obiettivi precisi.
L’assenza di un sentimento di “citoyens” costa cara,ci siamo divisi in corporazioni e così abbiamo perso i diritti più elementeri in uno stato libero,votare l’individuo,alla faccia del referendun del 2006,ricordo male? Oramai tutto sembra apparentemente pensato e legiferato nel bar del transatlantico,E’ vero primari a 70 anni ..assurdo, ma perché i nostri figli precari a 70 anni che ne dici? Si legifera, sic,sulla morte!! Abbiamo tolto il velo a Iside!!!! Per me questo é “il delirio dell’onnipotenza”. ora per restare in clima orientale ti cito una breve perabola, ma tu certo la ricordi. “Quando il sole é basso all’orizzonte,anche l’ombra di un nano sembra essere quella di un gigante”
con stima Vincenzo

 

 

…. Un regalo di Tiberio Pansini

 

 

 

25/02/09……………. forse con l’approvazione definitiva del DDL Brunetta si mette temporaneamente la parola fine a questa assurda pretesa.Tuttavia bisogna essere sempre attenti. Complimenti per l’incisività, il calore, l’impegno profuso per questo argomento.  Un medico ospedaliero

 

E con questo commento chiudiamo questo tema

26 febbraio 2009

 

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La comparsa nella cronaca di Bari della Gazzetta del Mezzoziorno dell’1-11-2010, che integralmente riporto, mi fa aprire nuovamente il tema

“Gazzetta di Bari 1/11/2010”
Al Policlinico di Bari primari in pensione saranno “ospiti” di NICOLA PEPE

“BARI – In un paese serio, probabilmente si sarebbero fatte carte false (si fa per dire) per trattenerli. Ma forse la salute della gente viene dopo gli interessi di «pochi»: da oggi, 39 tra ordinari, associati e ricercatori in camice bianco faranno le valigie e andranno in pensione. Alcuni di loro sono stati letteralmente «cacciati» perché avevano chiesto all’Ateneo (senza finora ottenere risposta) di poter continuare la didattica in forma gratuita assicurando così la presenza in sala operatoria. Ma alla fine è accaduto quello che tutti pensavano: un nulla di fatto.

Le promesse e le sfilate di ipocrisia da un lato («resteranno in ospedale con un contratto universitario gratuito»), le «obiezioni» di una casta di Medicina dall’altro («la didattica può proseguire senza di loro»), da oggi priveranno di fatto il Policlinico di professionalità importanti. Tutti, a cominciare dal direttore generale del Policlinico, Vitangelo Dattoli, avevano dispensato messaggi rassicuranti: l’unica certezza è che quei medici che in parte abbattono le liste di attesa, riducono la mobilità di pazienti verso altre regioni, contribuiscono a difendere l’immagine di un «pubblico» troppo spesso impallinato dai casi di malasanità, ora sono sul «libero mercato».

Il problema, infatti, non è per loro che potranno continuare a svolgere la loro attività – che di fatto si tradurrà in un costo indiretto per le casse pubbliche – ma è di centinaia di pazienti in attesa di un intervento. Il paradosso è che mentre l’Università decide di non decidere, alcuni primari che hanno formato categorie di medici dovranno umiliarsi a essere accolti come «ospiti» nelle corsie del Policlinico. Qualcuno potrebbe chiedersi che non li obbliga nessuno: ma la coscienza impone a questi professionisti di non abbandonare quei malati che hanno riposto la propria salute nelle loro mani.

Eppure tutto ciò accade senza che nessuno muova un dito o dica nulla, salvo poi preoccuparsi di avere il «migliore» in caso di «necessità personali». A professionisti come Fernando Prete o Francesco Paolo Selvaggi, è stato detto informalmente che potranno girare in reparto, ma di fatto come «ospiti» o, meglio, «osservatori». Gli interessati preferiscono rinunciare a qualsiasi commento.

Intanto, il prof. Prete – al quale il «Miulli» aveva garantito la disponibilità al ricovero dei suoi pazienti sin da oggi – ha deciso di prendersi una settimana di tempo. Il professionista sarebbe stato contattato anche da una casa di cura privata accreditata, la clinica Santa Maria: e l’assurdo è proprio questo. Da un lato, il pubblico pensa di risparmiare mandando a casa questa gente (sia pure rispettando una norma che comunque garantisce qualche deroga), dall’altro però rischia di spendere di più nel momento in cui quello stesso medico opera pazienti in strutture convenzionate con il Servizio sanitario nazionale, e cioè a carico delle tasche di tutti.

Ma se questo è il risultato che si vuole ottenere, probabilmente bisognerà attendere i prossimi giorni o al più tardi qualche settimana per raccogliere i frutti, o meglio i danni, di tale «non decisione». La facoltà di Medicina, che aveva previsto un consiglio ad hoc per discutere la vicenda del contratto universitario gratuito per alcuni «prof», ha rinviato ogni decisione alla settimana prossima perché nel frattempo non è arrivato il parere del Dipartimento sulla richieste dei professori. Poi toccherà decidere al Senato e al consiglio di amministrazione dell’Ateneo. La salute può attendere.

L’ON. FRANCESCO BOCCIA (PD): «UNA VICENDA KAFKIANA»
«Invito l’Università a non cadere negli errori tipici baronali che hanno affossato le Università del sud». Francesco Boccia, parlamentare del Pd, interviene nella vicenda dei primari. «Parlo da giovane ricercatore che ha condotto una battaglia da giovane trasferendosi all’estero e tornando in Italia. Io stesso, nel mio campo, farei di tutto per avere sempre disponibile uno più bravo di me».

«Questa vicenda – aggiunge – è kafkiana se a persone come Prete e Selvaggi non viene data l’opportunità, non di occupare spazi che vanno indubbiamente ad altri, di prestare la loro opera a titolo gratuito alla comunità e ai giovani che stanno crescendo. Delle due l’una: o viviamo in un mondo di geni e i talenti non servono più, o prevale un regolamento di conti interno».

Boccia aggiunge che «Bari forse è uno dei pochi esempi in cui ci sono 70enni straordinari. Per questo, l’Università è grande anche quando è umile prendendo il meglio dei giovani a cui consentire di fare passi in avanti, ma soprattutto quando chiede a un 70enne di restare e lasciare il suo talento a disposizione dei giovani». Da questo l’auspicio «che chi, nel mondo accademico, ha potere di decidere in questa storia, decida con umiltà e non con arroganza che ha prodotto solo parentopoli e nulla di più».”

Commento inviato on line alla Gazzetta del Mezzogiorno
Sono un medico ospedaliero in servizio nel Policlinico di Bari dagli anni 70 che ha letto e, con tanta pacatezza, ha voglia di commentare l’articolo del dott. Pede. Cominciamo dal titolo. Perché niente bisturi e malati nel caos. Ogni giorno si eseguono nella mia azienda, con successo, centinaia di procedure chirurgiche che vedono coinvolti, oltre al chirurgo, altre figure professionali, come anestesisti, cardiologi e tutto il personale paramedico, altrettanto indispensabili per l’espletamento della normale e regolare attività chirurgica. In un paese civile leggi e regolamenti vanno rispettati, non modificati a piacimento secondo le circostanze. I dirigenti della pubblica amministrazione, che siano militari, magistrati o universitari, vanno in pensione secondo le normative della specifica funzione e grado, non oltre il compimento del settantesimo anno. Le cariche non sono “a divinis, usque ad mortem”, né tantomeno devono essere trasmesse secondo asse ereditario. Nello specifico i primari da oggi in pensione sono stati professionisti capaci, attivi, coscienziosi, insomma validi. Adesso devono passare il testimone a “giovani” ormai sessantenni che forse nel futuro potranno far meglio di loro. È questo il divenire della vita e dell’evoluzione delle specie.  Bene fa l’Ateneo barese, che negli ultimi anni si è distinto, grazie all’impegno del Rettore, a moralizzare la facoltà di Medicina con l’emanazione di un codice etico, a tacere. Quei direttori, da oggi in pensione, dovevano pensare al giorno del distacco, forse aumentando negli ultimi anni l’attività didattica e formativa a favore di chi gli avrebbe sostituiti, in modo da determinare una continuità nella tradizione e nel loro ricordo. Forse quegli uomini non si sono sforzati di creare una vera scuola come avviene in tutte le professioni e le arti. Forse è perdere il prestigio sociale e l’indiscutibile potere legato alla carica, non certo la riduzione di risorse economiche, senz’altro presto recuperabili da parte delle cliniche private che circondano il policlinico, che spinge questi professionisti a chiedere aiuto ai media ed alla classe politica. Un sentito grazie, come cittadino, a questi direttori che lasciano il servizio pubblico ed un augurio “a far meglio” ai loro successori, con il consiglio di essere preparati, nel futuro, con dignità, come i grandi attori insegnano, al calo del sipario ed allo spegnimento delle luci della ribalta.
E se volessimo chiudere con un po’ di umorismo?
Ma perché devo andare in pensione, risponde il primario al giornalista che lo intervista. Sappia, caro signore che il mio medico curante è un pediatra.
Riccardo Guglielmi Bari

 

Da SANITASNEWS

Dal 24 novembre 2010 per i medici pensione a 70 anni .

La possibilità per i medici di presentare l’istanza per andare in pensione con 40 anni di contributi effettivi, senza oltrepassare i 70 anni di età, scatterà dalla definitiva entrata in vigore della Legge 183, cioè dal 24 novembre 2010. «Nonostante la nostra immediata e costante azione di contrasto» ha dichiarato il segretario nazionale della Fpcgil Medici Massimo Cozza «ormai è legge la norma che nella sostanza consente il pensionamento dei medici a 70 anni a danno dei precari e di tanti medici con incarichi professionali». «Comunque, con coerenza» ha concluso Cozza «difenderemo la libera scelta del medico a fronte di alcune interpretazioni “padronali” che vorrebbero lasciare alle direzioni aziendali la potestà di decidere su chi può rimanere in servizio e su chi no».

Il commento e la proposta di Riccardo Guglielmi: la nuova norma si estende a tutti i dirigenti medici e non solo ai primari,  eliminando  almeno così quella palese ingiustizia presente nei precedenti tentativi di modifica.  Dal 24 Novembre sarà legge e tutte le leggi vanno rispettate, ma perchè non prevedere per questi colleghi che volontariamente vogliono rimanere in servizio un ruolo di “docenti” (non si agitino gli universitari) o “formatori” nei riguardi delle giovani leve e non quello operativo ed assistenziale? In un momento di particolare contingenza, come quello attuale, potrebbero essere impiegati per l’abbattimento delle liste di attesa, svolgendo così un importante servizio sociale. Pensate che un over sessantacinquenne sia idoneo a guardie e reperibilità, o possa restare in piedi per ore in sala operatoria? Quante domande di patologie dipendenti da causa di servizio saranno inoltrate? Pensiamoci sopra  anche per non far  perdere ogni speranza di essere assunti, come Medici Ospedalieri, ai nostri giovani colleghi.

Intervista colloquio Tutto Sanità N° 165 Dicembre 2014

ASSISTENZA

“Un approccio multidisciplinare e iperspecialistico, valorizzando e motivando le risorse umane a disposizione, nell’interesse del cittadino utente”

A colloquio con Riccardo Guglielmi, Direttore della Cardiologia ospedaliera del Policlinico di Bari

Grosse doti umane e professionali che si riverberano sia nei rapporti con i suoi collaboratori che con i pazienti. E’ questo in estrema sintesi il tratto distintivo che contraddistingue il dott. Riccardo Guglielmi, Direttore dall’1 settembre 2013 della Cardiologia ospedaliera dell’Azienda ospedaliera universitaria Policlinico di Bari. Questa metodologia di conduzione connessa a una forte connotazione volta alla umanizzazione delle cure oltre che ad alcune innovazioni, come quella di eliminare le visite di reparto con codazzo di assistenti, hanno consentito nell’arco di breve tempo di far convergere molti consensi sulla struttura da lui diretta. In particolare con riferimento alle aspettative dei pazienti (il capitale sociale del Servizio sanitario) che hanno avuto modo di riscontare professionalità, dedizione e calore umano rispetto a patologie spesso dure e delicate, anche con riferimento alla fase post ospedaliera. Il dott. Guglielmi andrà in pensione dall’1 marzo 2015

 Gli abbiamo rivolto alcune domande volte ad illustrare in modo più organico la sua attività e, soprattutto, la metodologia operativa che ne è alla base.

Su cosa occorre puntare per ottenere risultati efficaci ?

“Per ottenere risultati positivi in una Unità Operativa Complessa che produce prestazioni sanitarie di alta qualità non è più sufficiente saper prendere decisioni giuste o adottare strategie elaborate per diagnosi e cure. Ciò che serve è possedere una perfetta conoscenza dell’ambiente che ci circonda. E’ solo con gli anni che si possono acquisire gli elementi valutativi per potersi integrare in una realtà multidisciplinare e iperspecialistica, valorizzando e motivando le risorse umane a disposizione. Competenza, umanizzazione e valorizzazione sono in sintesi le strategie vincenti, la tattica va elaborata caso per caso ma va adattata sul campo”.

Quali sono in sintesi i risultati positivi conseguiti ?

“Sono essenzialmente cinque:

1. Risoluzione dei problemi di coloro che chiedono aiuto alla nostra struttura, negli ambulatori e nella degenza;

2. Fornire prestazioni di qualità con umanizzazione delle cure;

3. Formazione e accrescimento culturale degli operatori;

4. Migliorare e rendere efficace le modalità di comunicazione;

5. Raggiungimento degli obiettivi aziendali.”

Su cosa ha basato la gestione delle risorse umane ?

“Più facile di quello che normalmente si sente dire. Bisogna avere molta pazienza ma il risultato finale deve essere consenso del gruppo e approvazione dei superiori. Per ottenere questo risultato adotto sempre uno stile personale di comportamento diretto e chiaro senza alcuna ipocrisia di facciata. Ho la fortuna di avere risorse umane di qualità e spessore, a me solo il compito di formare e dirigere un’orchestra che suoni a tempo e produca armonia. Dal primo momento ho cercato di formare una squadra, unita per raggiungere la meta e moltiplicare i risultati. Motivazione, delega, incoraggiamento, copertura medico legale: questi sono gli elementi di tattica che adotto quotidianamente”.

Come ha motivato i componenti della sua squadra?

“Creando subito una gerarchia che parta dal concetto democratico che chi lavora in questa unità, dagli addetti alle pulizie ai colleghi interventisti, svolge un ruolo indispensabile e importante per il raggiungimento del risultato. Ho voluto subito implementare la coscienza di far parte di un grande gruppo che è inserito paritariamente nella più grande realtà sanitaria regionale. Non potendo dare benefici economici o di carriera abbiamo condiviso la creazione di gruppi operativi, emodinamica, elettrofisiologia, ecocardiografia degenza e ambulatori. Ogni gruppo ha democraticamente eletto il suo leader che si interfaccia con me. Tutti i dirigenti medici, anche i più giovani, hanno incarichi di alta professionalità. Infine la soluzione di problematiche complesse diagnostiche e gestionali è definita in modo collegiale”.

Lei, pur essendo molto presente, non segue lo schema classico della visita del reparto con tutto il “codazzo degli assistenti”

“La qualifica di Assistente, che la mia generazione ha vissuto, per fortuna è solo un ricordo. Alla visita tradizionale preferisco un breve breafing , magari sorseggiando un caffè, all’inizio e alla fine delle attività. Il mio deve essere solo un ruolo di coordinamento tra i vari gruppi per aumentare la produttività e aggiungere qualità, efficienza ed efficacia, in parole povere rendimento. Da clinico, ancora innamorato della professione, non mi sottraggo da offrire il mio bagaglio di esperienza e competenza ai colleghi e ai pazienti. Il prof. Colonna mi ha insegnato che è la funzione che fa l’uomo, a me il compito di graduare le funzioni delegando in modo appropriato. Facciamo parte di un sistema. Tutti i miei collaboratori sanno che possono contare su di me in ogni momento, anche in caso di assenza materiale”.

Nella cardiologia ospedaliera del Policlinico di Bari si avverte molto un clima amicale e di umanizzazione. Come nasce ?

“Per chi come noi ha posto al primo posto il soggetto assistito, in un alto contesto di specializzazione e tecnologia, il valore aggiunto da dare non poteva essere altro che l’umanizzazione delle cure. Ci sforziamo di mettere a proprio agio i degenti e i loro familiari adottando livelli di comunicazione adeguati alle circostanze. La verità, anche se dura come è di frequente nelle malattie cardiovascolari, non è mai nascosta. Altro aspetto che ci caratterizza è quello di non fermarsi alla degenza ospedaliera. Il paziente non deve essere abbandonato nel ritorno a casa. Abbiamo potenziato la riabilitazione, il follow-up delle patologie e gli ambulatori dedicati. Siamo consapevoli che potremmo fare di più nell’interesse del cittadino utente”.

La sua Cardiologia è solo lavoro ?

“Assolutamente no. La squadra è grande se lo spogliatoio è in armonia. Sappiamo inventarci momenti di aggregazione, di gioia e di spiritualità. Per esempio festeggiamenti per ricorrenze, celebrazioni di Santa Messa. Sono momenti che cementano lo spirito di gruppo lontani dalle tensioni lavorative, che cerco sempre di stemperare anche con una dose di sano umorismo”.

Cosa apprezza di più in questo periodo di sua direzione ?

“Come dirigente sto apprezzando il consenso che proviene dai collaboratori e l’approvazione dei superiori, direzione sanitaria e generale. Sono anche molto felice per gli apprezzamenti provenienti dal mondo accademico, dalla cittadinanza e dalla stampa locale”.

Con una persona diretta come lei la domanda finale è d’obbligo. Si sente un primario legato alla sua poltrona ?

“Non è di circostanza se subito le dico no. A livello personale sono molto onorato di essere a capo di una Cardiologia pubblica così prestigiosa. Spero che questo modello gestionale, di cui ho la presunzione di arrogarmi la paternità, sia ripreso e migliorato da chi mi sostituirà. Io spero solo che il prossimo direttore della Cardiologia Ospedaliera “Luigi Colonna” abbia la perfetta conoscenza dell’ambiente che lo circonda e che senta il dovere di lavorare con onore”.

Per congedarci: cosa si prova ad essere il capo di una unità operativa complessa come la Cardiologia Ospedaliera del Policlinico di Bari ?

“Non ho esitazione a rispondere ORGOGLIO, molto orgoglio, anche perché sono molto orgoglioso delle donne e degli uomini del mio gruppo”.

Fonte  Numero 165 i Dicembre 2014 di Tutto Sanità pag.12-14

Anestesia al pubblico, rianimazione al privato

La piccola clinica del cuore dal 25 marzo corrente anno è diventata un grande ospedale multidisciplinare

A due mesi dalle votazioni amministrative la Clinica Mater Dei di Bari diventa alternativa agli ospedali pubblici, Di Venere, San Paolo, Policlinico. Cardiologia, neurologia, cardiochirurgia, medicina interna, ortopedia, emodinamica e a breve anche pronto soccorso, sono le multi specialità che, in un contesto alberghiero, offriranno i servizi richiesti da un’utenza offesa per anni da lunghe liste di attesa, architetture fatiscenti e tecnologie sorpassate. Certo sembra un dono piovuto dal cielo, ma oltre lo spot elettorale cosa nasconde quest’operazione?

La sanità pugliese è reduce da anni di gravosi piani di rientro. Sono stati chiusi e ridimensionati ospedali pubblici che offrivano assistenza a grandi bacini territoriali; solo per la provincia di Bari, Conversano, Monopoli, Putignano, Bitonto e Corato. Al Policlinico e al Di Venere, i Direttori Generali sopprimono Unità Operative semplici e complesse. Da una parte tagli al pubblico, dall’altra apertura e potenziamento di strutture private solo sulla carta, ma, di fatto, mantenute dall’accreditamento pubblico, cioè dalle tasse addizionali imposte ai cittadini pugliesi. Amministratori politici, funzionari e consulenti, medici riciclati come burocrati in strutture sanitarie regionali, con le loro scelte programmatiche rendono la sanità pubblica poco efficiente ed efficace. Turnover bloccato, lungaggini burocratiche, flessibilità inesistente, veti incrociati alle giuste attese di carriera per i medici pubblici capaci, organici inadeguati soggetti a carichi di lavoro intensi, mortificano da anni le professionalità, ritenute anche alte dall’utenza, di tutti gli operatori sanitari.

Viste queste premesse, è lecito porsi alcune domande:

1. Da dove provengono i fondi di finanziamento per quest’operazione?

2. Saranno ancora validi i tetti di spesa per le strutture accreditate?

3. Come e da chi sarà disciplinato l’accesso dell’utenza?

4. Saranno rispettate le norme che regolano i conflitti d’interesse e le incompatibilità per i medici dipendenti in servizio o collocati in pensione?

5. Esisterà un controllo per l’appropriatezza dei ricoveri e delle procedure diagnostiche?

6. Saranno evitate le sperequazioni retributive tra medici sottopagati a scapito di pochi con retribuzioni da capogiro tanto da includerli nelle “Top ten” dei più alti contribuenti nazionali?

E’ un ritorno a un passato non tanto remoto, quando un imprenditore locale, con l’aiuto della classe politica collusa e corrotta, aveva creato una fitta rete di cliniche accreditate mantenute in vita solo con il denaro pubblico. La critica fine a se stessa non è mai costruttiva senza le proposte per la risoluzione dei problemi. Rendiamo la struttura pubblica più flessibile nelle dinamiche del lavoro in entrata e uscita, per esempio con assunzioni di supporto finanziate con contratti a progetto. Incoraggiamo il lavoro per obiettivi e valorizziamo le professionalità tenute di proposito narcotizzate. Dobbiamo dare risposte alle giuste attese dell’utenza con la verifica dei criteri di appropriatezza prescrittiva e diagnostica. Liberiamo gli operatori sanitari da ingabbiamenti burocratici che servono a sottrarre tempo all’assistenza, alle procedure diagnostiche, affiancando al lavoro “burocratico” dei medici figure professionali amministrative (ora un medico per dimettere un solo paziente ha bisogno di due ore per assolvere gli obblighi previsti). Diamo al privato accreditato le stesse regole del pubblico in un regime di libera concorrenza.

Come medico del Servizio Sanitario Nazionale mi sforzo nel quotidiano di evitare l’affossamento dell’ospedale pubblico che credo debba sempre offrire al cittadino utente l’eccellenza diagnostica e terapeutica. La speranza, che è l’ultima a morire, è non vedere politiche sanitarie che sottopongono ad anestesia il pubblico e, al contrario, rianimano il privato accreditato.

Bari 01 aprile 2014

Ridurre le riospedalizzazioni. Oggi si può, domani si deve

Dobbiamo prendere esempio dagli Stati Uniti che negli ultimi mesi del 2012 hanno iniziato un ambizioso progetto, il Medicare, che ha come obiettivo la riduzione del tasso di riospedalizzazione.
La maggiore richiesta di nuovo ricovero si è osservata per i pazienti dimessi dopo infarto miocardico, scompenso cardiaco e polmonite. Discutibile sarà, secondo alcuni, la penalizzazione economica, pari all’1% del rimborso, per gli ospedali con alta riospedalizzazione, ma un deterrente economico, se giustamente applicato, diventa un buon freno a una gestione poco professionale delle risorse economiche destinate alla sanità pubblica.
Se applicato in Italia nella sua interezza, solleverebbe numerose critiche e controversie. Due sono gli ordini di considerazioni o domande: la riospedalizzazione è forse legata alla precocità della dimissione o alla gravità della patologia di base che determina esiti e complicanze?
Nei nostri ospedali il paziente non è mai precocemente dimesso. Si rispettano le linee guida riguardanti i tempi di degenza per patologia. Purtroppo la cronicità e la gravità delle malattie determinano una sempre maggiore richiesta di salute, percepita dall’utente solo con il ricovero in ospedale, che se pur criticato per la scarsa umanizzazione, è considerato l’unica sede dove poter ricevere durante la degenza, ora breve rispetto agli anni passati, cure appropriate ed eseguire accertamenti diagnostici senza altre spese aggiuntive, con facilità di accesso, tempi di esecuzione rapidi e livelli alti di professionalità degli operatori. I pazienti a maggior rischio di riospedalizzazione sono quelli non solo con malattie più gravi, ma anche con condizioni socio-economiche più disagiate. Manca, purtroppo, un valido supporto sociale o di servizi territoriali efficaci che possano prendere in carico la complessità e le disabilità dei pazienti trattati.
La dimissione ospedaliera necessita, anche in presenza di un quadro clinico di particolare gravità, vedi l’infarto del miocardio, di una maggiore pianificazione e coordinamento delle cure future. Un Sistema sanitario efficiente deve garantire un corretto “ritorno a casa” per rendere efficace la convalescenza, trampolino di lancio per la ripresa sociale e lavorativa. E’ fondamentale la pianificazione dei tempi e dei modi per i controlli con protocolli condivisi specifici per la diagnostica e la terapia. Piccoli accorgimenti per evitare duplicazioni d’indagini diagnostiche, vero spreco di denaro pubblico, messe in essere, nel timore di contenziosi medico-legali, per medicina difensiva.
Un territorio efficiente e ben integrato con l’ospedale, riducendo la riospedalizzazione, non è più un promotore di spesa, ma diventa un fautore di risparmio.  Nel futuro le risorse destinate alla nostra sanità, a tutt’oggi sempre minori rispetto a quelle messe a disposizione da Germania, Francia e Usa, saranno sempre più esigue. Dobbiamo avere il buon senso, per evitare la distruzione del nostro Sistema Sanitario, modello che molti stati ci invidiano, di saper amministrare quelle poche risorse con l’intelligenza e la saggezza del “buon padre di famiglia”
Bari 24 Aprile 2013