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Sanità Regionale: meno chiacchiere e più divise

Analisi e prospettive di chi è ancora in prima linea

Di Riccardo Guglielmi

Da quasi 50 anni vivo la realtà della Sanità regionale pugliese. Ho conosciuto i sistemi mutualistici ( INAM, EMPAS ecc.), USL e ASL. Ho partecipato all’Aziendalizzazione degli Ospedali, ho conosciuto il Servizio pubblico nazionale e regionale, compreso il Servizio di pubblica utilità delle strutture territoriali e ospedaliere accreditate, ma resto basito dal constatare come la gestione della pandemia in Puglia è emblematica e con criticità agghiaccianti. Nonostante le tante auliche parole e le rassicurazioni di una classe di amministratori, assente dai teatri operativi ma ben protetta nei fortini delle proprie abitazioni e dei lussuosi uffici, che pontifica e vanta successi,  i numeri sono lì, nella loro agghiacciante crudezza e durezza. Le truppe del generale Covid ridono di noi, adattandosi e mutando ogni giorno per meglio penetrare nei nostri corpi, debellando le scarse difese che abbiamo approntato. Le percentuali di contagio sono ancora da brivido, non sembrano scendere a livello nazionale sotto le 23mila al dì e a livello regionale il totale delle ospedalizzazioni è di 2005 con 231 pazienti in terapia intensiva.  Se consideriamo le  quasi 44mila  persone in isolamento domiciliare con oltre 2000 positivi al dì e con un numero di decessi, mentre scrivo, di 4679, raggiungiamo un numero globale di casi di 186.949.

Meno chiacchere

Questi dati, che dovrebbero innestare un processo di autocritica o meglio di vergogna, come ha scritto un illustre giornalista barese,  sembrano scivolare sulla pelle dei nostri amministratori che, ritenendoli solo astratti numeri, non si sono ancora resi conto che nella nostra nazione è scomparsa la popolazione di una intera città e ogni giorno muore la metà di quanti perdono la vita per incidenti stradali o per morte improvvisa nel corso di un intero anno. Manca l’ossigeno per gli ammalati in cure domiciliari e addirittura scarseggia negli ospedali. I servizi territoriali sono inesistenti, che fine hanno fatto le USCA, le unità di assistenza domiciliare. Aumenta la pressione sui medici di Medicina generale, mandati a combattere in prima linea senza armi e senza i presidi di difesa, maschere, visiere, camici.  Esiste una reale difficoltà di approvvigionamento per  farmaci, antidiabetici, anticoagulanti, gravati anche per il rinnovo da inutili piani terapeutici. Che senso ha il rinnovo dal medico specialista, la cui attività ambulatoriale è stata ridotta se non addirittura soppressa, del piano terapeutico per malattie croniche, evolutive e peggiorative come storia naturale. Le attività ambulatoriali sono state azzerate. Controlli di prevenzione per malattie cardiovascolari e oncologiche sono un sogno. Le patologie raggiungono lo stadio di gravità per l’inattivazione dei servizi specialistici territoriali. Medici e infermieri, anche di età avanzata, sono distribuiti per altre esigenze e inviati nei reparti Covid. Un esempio per tutti è il trasferimento di infermieri e medici della Cardiologia d’urgenza,  Unità operativa di vera eccellenza allocata nel Pronto Soccorso del Policlinico di Bari, all’Ospedale Covid della Fiera del Levante. Questo è uno dei tanti esempi di spreco. Hanno realizzato una struttura faraonica senza troppo attenzione alle esigenze extra assistenziali dirette, modo elegante per dire che non c’erano in sede di progettazione bagni sufficienti e spogliatoi.  Un Presidio ospedaliero, sicuramente utile, ma dal costo spaventoso per progettazione, realizzazione e canone di affitto mensile. Per non parlare del “collaudo” con due ambulanze, scortate dalla Polizia urbana, che hanno trasportato, non una persona abbisognevole di cure, ma un “manichino”.  La speranza,  è che la Magistratura cominci ad aprire le giuste inchieste. Forse potrà essere così placata la rabbia che suscita il provvedimento di “Atto dovuto” di uno zelante magistrato siciliano che dopo la morte di un Sottufficiale della Marina dopo la vaccinazione mette sotto inchiesta, non l’industria produttrice del vaccino, ma i 15 operatori sanitari, medici e infermieri, del presidio adibito alla vaccinazione.  Tanto danaro pubblico speso e da spendere; con meno poteva essere attivato l’Ospedale militare di Bari, considerata la grande esperienza e apprezzata capacità delle donne e degli uomini in divisa della Sanità Militare italiana nel gestire situazioni estreme in tutti i teatri operativi del mondo.

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Sono gli uomini in divisa e non solo quelli con le stellette, lo stesso camice è divisa, che sta facendo la differenza in termini di efficienza ed efficacia. Le nostre proposte sono viste con sufficienza e non ascoltate come dimostra il reclutamento del personale sanitario che è, a dir poco disastroso. I contratti a tempo limitato non sono la risposta. Sono state costruite cattedrali, progettati algoritmi gestionali ma le risorse umane dove sono. I nostri giovani laureati in discipline sanitarie non trovano lavoro, sono costretti a emigrare in altre nazioni o in altre Regioni dove subiscono condizioni di lavoro umilianti, ricatti per gli alloggi e pur dimostrando preparazione e capacità professionali, sono considerati, incredibile nel 2021, “i terroni”, quando va bene se non addirittura gli americani di colore che sino agli anni 60 dovevano, negli stati del Sud degli USA, seguire le direttive del Green Book .

I nostri anziani sono stati abbandonati. Nonostante gli inserimenti nell’ennesima piattaforma digitale, gli over 80 sono stati vaccinati in debole percentuale. Inesistenti le vaccinazioni a domicilio per chi ha ridotte capacità motorie e cognitive. I farmacisti continuano a contagiarsi e alla tanto proclamata apertura di poli vaccinatori nelle farmacie non vi è traccia di formazione e direttive. Ma se il farmacista è al banco chi effettuerà la vaccinazione e questo è un altro problema. È mancato un “arruolamento” diretto degli studenti degli ultimi anni di medicina o delle professioni sanitarie. Chi pontifica e già riceve lauti compensi afferma la necessità del volontariato “per gli altri ma non per se stessi”.  Forse un piccolo compenso ai volontari non guasterebbe e perché non rendere le ore degli studenti di medicina laboratorio valido con credito formativo. Un uovo di Colombo mai pensato dai tanti scienziati universitari. La lobby dei baroni, ha provveduto a vaccinarsi prima degli altri. Non parlo degli universitari medici che sono sul campo nel Policlinico o in altri presidi sanitari, ma quelli di tutte le altre facoltà  che da oltre un anno non fanno lezione diretta, solo a distanza comodamente nelle loro case. Sono i docenti che non fanno più esami in presenza, solo a distanza sulle piattaforme video, umiliando spesso gli studenti obbligati a visioni panoramiche della stanza per “smascherare” ipotetici suggeritori. Sono quelli che fanno anche le lauree a distanza ad aver preteso e ottenuto di essere vaccinati, mentre i docenti della infanzia e della primaria dovranno, dopo Pasqua, riprendere le lezioni in presenza, senza aver ancora completato il ciclo di vaccinazione con la seconda dose. Perché non vaccinare gli operatori della Giustizia, giudici, avvocati, cancellieri, per far rimettere in moto un settore importante per la nostra vita.

La pandemia da Covid non crea solo danni polmonari. Tutti gli organi possono essere interessati. Non manca il riscontro in chi risulta guarito di postumi polmonari, renali e cardiaci. Anche sulla psiche le conseguenze sono drammatiche. Il blocco di molte attività commerciali, la mancanza di lavoro, la convivenza forzata, l’aver vissuto la malattia,  come definita da chi è guarito “esperienza devastante”, innescano stati di ansia e depressione che nei più fragili sta portando a conseguenze estreme. Come non ricordare i due suicidi di pochi giorni fa nella nostra città. Non solo farmaci e ospedali ma un serio sostegno psicologico la nostra Regione deve attuare al più presto.

Basta con l’essere solo apparenza. Non siamo né il “modello da esportare” né, per chi non riesce a dimenticare, il “pendolino guaritore”. Senza la Sanità accreditata, che con grandi sacrifici sta coadiuvando efficacemente quella pubblica,  il nostro Sistema sanitario regionale, impegnato a vuoto in molti fronti,  sarebbe da tempo travolto.

La conclusione per chi come me svolge con orgoglio la professione medica è che gli operatori sanitari di ogni ordine e grado che indossano la divisa, non solo quella con le stellette, dovrebbero essere ascoltati, tutelati, messi in condizione di lavorare con serenità, senza il continuo timore di denunce e ricatti, con piante organiche adeguate ai tempi che viviamo. I cittadini della Puglia vogliono sentire da chi hanno eletto non vedremo o faremo ma abbiamo fatto e risolto problemi. Le donne e gli uomini della Sanità regionale meritano rispetto e atti concreti. Basta con le pacche sulle spalle.

Riccardo Guglielmi – Giornalista scientifico –

Sanità Regionale: meno chiacchere e più divise

Sanità Regionale: meno chiacchere e più divise

 

 

Tutti sotto la Regione Puglia. I medici chiamano all’adunata

Sanità regionale tritatutele: il 10 novembre i medici scendono in piazza per difendere un diritto di tutti e non un privilegio per pochi.

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Di   Riccardo Guglielmi

Il presidente dell’Ordine dei Medici di Bari, Filippo Anelli, con una lettera aperta invita agli iscritti e ai sindacati di categoria, chiama i colleghi a un’adunata e invita la cittadinanza attiva a una manifestazione unitaria venerdì 10 novembre, dalle ore 13 alle 17, in via  Capruzzi davanti alla sede del Consiglio regionale. Obiettivo è la difesa della salute di tutti con una sanità migliore. E’ un periodo storico difficile per la professione medica. Criticità da affrontare ogni giorno, frutto di scelte unilaterali del potere che nascondono la volontà di smantellare il ruolo sociale delle professioni intellettuali per ricondurle nell’alveo di quelle tecniche come quelle infermieristiche e con l’obiettivo finale di eliminare chirurgicamente quella libertà dell’essere medico fraintesa come diritto di casta o privilegio.

“Il medico è imbrigliato  in una serie di regole e di limitazioni- scrive Anelli-  che agiscono su più livelli, per esempio con atti amministrativi che lo costringono a subire vincoli pesantissimi all’esercizio professionale, con proposte di legge che esplicitamente cancellano la parola libertà dall’esercizio professionale (vedi l’art. 2 del Ddl sulle Dat) oppure gli impongono limitazioni e condizionamenti nelle prescrizioni diagnostiche (Decreto Lorenzin) e terapeutiche (indicazioni Aifa) in nome della scienza e dell’appropriatezza”.

Accorato, è l’appello contro la politica regionale che, non coinvolgendo la classe medica nelle scelte di programma, ha prodotto ripercussioni negative sulla tutela del diritto di salute dei cittadini pugliesi. Il segno meno trionfa nella sanità della Puglia. Meno 800.milioni di euro/anno dal fondo sanitario nazionale, meno 1800 posti letto, meno e 15000 addetti alla sanità rispetto all’Emilia e Romagna che ha lo stesso numero di abitanti. Anni di piani di recupero, tagli, tetti di spesa, accorpamento di reparti, blocco del turnover, mancate assunzioni nei settori dell’emergenza urgenza, aumento dei carichi di lavoro, delibere di regolamentazione del lavoro, trasformano corsie e i Pronto Soccorso degli Ospedali in gironi danteschi con conseguente abbassamento della qualità dell’assistenza e della sicurezza per utenti e operatori. Se l’assistenza ospedaliera piange, ricordate Sparta e Atene, quella territoriale e di base non ridono. Non è infrequente osservare medici sull’orlo di una crisi di nervi. Mancanze di risorse, burocrazia, limiti della libertà prescrittiva, piani terapeutici, assenza di sicurezza e violenze di ogni tipo nelle sedi delle guardie mediche umiliano ogni giorno quanti offrono aiuto a chi soffre.  Niente assunzioni, mancato aumento degli ingressi ai corsi di Medicina generale creano oggi disoccupazione con conseguente fuga dei cervelli e, nel futuro, carenza di medici che, se associata a quella degli ospedalieri, porterà a una diminuzione degli organici nazionali a oltre 65.000 unità nel prossimo decennio.

I medici, rivendicando il proprio ruolo, si accingono alla lotta non per difendere privilegi di categoria ma per la difesa della salute dei pugliesi. Salute sì, burocrazia no, meno tagli e più risorse, rispetto per il cittadino medico e per la persona malata; ecco gli elementi per una sanità appropriata, efficiente, efficace, di qualità e più umana. La parte politica si è sempre mostrata assente alle richieste dei medici d’incontri e aperture di tavoli di trattativa.

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